Dancing satyr (from the group “Invitation to the dance”)
Parian marble.
Roman copy of the 1st century BCE after a Hellinistic original.
Inv. No. 220.Florence, Uffizi Gallery, The Tribuna (Hall 18)Photo by Ilya Shurygin

Dancing satyr (from the group “Invitation to the dance”).

Parian marble.
Roman copy of the 1st century BCE after a Hellinistic original.
Inv. No. 220.

Florence, Uffizi Gallery, The Tribuna (Hall 18)
(Firenze, Galleria degli Uffizi, Tribuna (Sala 18)).

Description:

Italiano GRUPPO DELL’ «INVITO ALLA DANZA»


51. Satiro col kroupezion (inv. n. 220)

Marmo pario alt. m. 1,43.

Di restauro moderno: la testa col collo, la braccia dalle spalle, tallone e alluce del piede sinistro, dita del destro; le gambe sono spezzate sotto il ginocchio e alle caviglie e le lacune sono riempite da tasselli. La superficie non è stata rilavorata. Le parti moderne sono state attribuite da una tradizione (cfr. Amelung, p. 45) a Michelangiolo, più prudenzialmente (Dütschke 546) ad un allievo; sono ad ogni modo di singolare bellezza, certo il miglior esempio d’integrazione in tutta la collezione Medici. Si deve anche rilevare che, a parte i piatti alle mani, già criticati dal Lanzi, il restauro non è gravemente errato per quanto riguarda la posizione della testa e delle braccia; queste sono intonate all’anatomia del corpo antico e anche la testa rappresenta una felicissima intuizione.

Sono ignote la provenienza e le prime vicende della statua, che il Bianchi dice esser stata da tempo immemorabile di proprietà Medici; su questa base il Pelli (II, p. 9, n. VIII) ha congetturato che l’acquisto possa attribuirsi a Lorenzo il Magnifico, il quale avrebbe poi trasportato la statua a Roma; ma sarebbe il solo caso noto di un trasporto da Firenze a Roma. Dal Maffei si ricava che il Satiro stette per un certo tempo a Villa Medici, ma che al principio del sec. XVIII era già a Firenze. In Galleria il Satiro stette sempre nella Tribuna, dov’è tuttora.

Per il rendimento del nudo questa è certamente la migliore fra le copie conosciute (elenco in Klein, ZeitschrBK, N. F. XX, p. 911 ss., n. 3; Id., Rokoko, n. 54; Lippold, GrPl, p. 320, n. 5) e Amelung (n. 65, p. 45) riteneva possibile trattarsi dell’originale, il che non è evidentemente sostenibile.

52. Ninfa seduta (inv. n. 190)

Marmo pentelico alt. m. 1,01 (senza i restauri m. 0,79).

Sono di restauro moderno la testa col collo, la mano destra col polso, il ginocchio sinistro, i piedi coi malleoli, la parte anteriore della base, l’indice della mano sinistra. Il braccio sinistro è ricomposto da più pezzi antichi (tassello al gomito); la superficie, specie nel dorso e sulle spalle, è completamente disintegrata.

Un disegno di scuola raffaellesca della coll. Leicester (Conze, AZtg. XXV, p. 101, n. 2; cfr. Dütschke 153) ripete il motivo di questa statua e reca un’indicazione, secondo cui essa avrebbe appartenuto alla raccolta Valle; il Dütschke ha voluto riconoscere la figura nella vaga indicazione dell’inventario Valle del 1584: «doi torzi de statue de donna sensa teste et senza braccia, pichole», in base alla quale si penserebbe piuttosto a figure stanti. È lecito invece riconoscere la Ninfa nella «femminetta a sedere vestita dal mezzo in giù, in atto di rimettersi una scarpa», descritta dal Vasari fra i marmi esistenti a Pitti al tempo di Cosimo I. Due statue dello stesso tipo, una delle quali dovrebbe essere la 190, ancora il Dütschke ha riconosciuto nell’Inv. di GR 1618—1623, dove è detto esplicitamente che le figure erano nude. La 190 è invece da riconoscersi nella statua elencata nell’Inventario p.81 del 1704. In Galleria la Ninfa era nel sec. XVIII nel I Corridoio, nel XIX nel II, dove si trova tuttora.

Gori e Bianchi hanno riconosciuto nella figura una Venere (Venus spinaria, per il Gori), poi generalmente essa è stata indicata come «fanciulla» o come «ninfa», fino a che il Klein ha scoperta la sua appartenenza al gruppo di Cizico. Nella serie delle repliche del tipo, questa di Firenze è interessante solo dal lato dello schema, giacche per le mutilazioni e la pessima conservazione della superficie essa ha un’importanza quasi nulla dal punto di vista stilistico; anche attraverso la cattiva conservazione si vede che questa statua è stata realizzata come generica opera decorativa, senza alcuna ricerca di qualità formale: il panneggio è reso senza finezza e il nudo è banale. La qualità dell’opera si deve ricercare soprattutto nella copia di Bruxelles e in quella di Ginevra, entrambe mutile (elenco copie aggiornato in Deonna, StRobinson, I, pp. 664 e segg.) oltre che nella replica del Magazzino vaticano (Kaschnitz, MagVat, n. 180, tav. XXXVII) in base alla quale si è potuta riconoscere la pertinenza della vivacissima testa. La replica vaticana fa gruppo con un Pan (v. n. 129), che arieggia l’analoga figura del simplegma di Eliodoro.

Il Klein, in uno studio rimasto definitivo (ZeitschrbK, XX, p. 191 ss.) ha riconosciuto attraverso una moneta di Cizico di età severiana (Imhoof-Blümer, JahrbInst, 1888, p. 296, tav. 9, 29) l’appartenenza di entrambe le statue ad un gruppo, non altrimenti noto dall’antichità. La ricostruzione del Klein, eccessivamente paratattica, è stata corretta dal Rizzo (Springer-Della Seta-Mustilli, cit. infra; Giglioli, AG, fig. 676) in modo da valorizzare rimpianto spaziale delle figure e soprattutto il convergere degli sguardi, unico legame che tiene uniti i due personaggi; al ritmo circolare della ricostruzione Klein si è aggiunta la diversa inclinazione dei piani per cui si crea un contrasto, tipico dell’estremo barocco ellenistico, già volgente ai ritmi frontali; anche questo è un gruppo pittorico, da immaginarsi contro uno sfondo. Contrastate sono anche le due figure, non tanto per le proporzioni, intese a distinguere la vigoria del satiro e l’acerbità della fanciulla, quanto per il diverso trattamento, per il nudo, nel Satiro ricco di notazioni anatomiche, evidenti se anche non strutturali (Giglioli), nudo asciutto ed eminentemente realistico, nella Ninfa assai più lavorato in superficie e quasi convenzionale. Più che il Satiro, la Ninfa ha valore per lo schema e per la spiritosa espressione del volto, realistico anch’esso in massimo grado. L’Amelung riconosceva l’ascendenza della Ninfa del gruppo di Cizico alla Tyche di Eutichide, il che è formalmente giusto, ma la costruzione unitaria e concentrata della Tyche qui si risolve nella casuale rapidità dell’episodio. Il gruppo è appena sfiorato dalla tinta di sensualità che caratterizza le associazioni di satiri e ninfe dell’arte ellenistica. Assoluta-mente ineguali per la qualità e il marmo, le due copie fiorentine non facevano certamente gruppo fra loro; del resto la moneta di Cizico è l’unico documento a provare che le due figure stavano insieme; ognuna di esse poteva esser ripetuta per sè, tanto tenue è, ad un’osservazione superficiale, il legame che le unisce; entrambe si prestavano a funzione decorativa (Lippold, KUmb, pp. 169, e 173). L’archetipo doveva essere in bronzo, perchè l’autonomia valorizza appieno l’elastico movimento del satiro; tale archetipo è concordemente datato nella seconda metà del II sec. e si può ricondurre, per la presenza del gruppo a Cizico, alla produzione asiatica. Ma prima che il gruppo fosse riconosciuto, l’Amelung datava il Satiro alla metà del III secolo, epoca cui, implicitamente, riconduceva anche la Ninfa per il confronto con la Tyche; P. Ducati (ScEll, p. 27) ascriveva il gruppo alla scuola pergamena; il Klein è stato seguito dal Lippold nel ritenere che la moneta di Cizico delimiti anche l’ambito in cui l’opera e stata creata.

Guido A. Mansuelli (1958)
Literature:
a) sul gruppo:
Klein, ZeitschrbK, N. F. XX, pp. 191 ss.;
Id., Rokoko, p. 46 e fig. 14;
Winter, KGB, p. 368, 7;
Lippold, KUmb, p. 173;
Ducati, ScEll, p. 27;
Id., AC, p. 513, fig. 658;
Lippold, GrPl, p. 320, n. 5, tav. 113, 3;
Rodenwaldt, KA, tav. 491;
Lübke-Same-Pernice, fig. 380;
Salis, KdG, p. 268;
Springer-Della Seta-Mustilli, p. 51, tav. XV;
Bieber, HellSc., p. 139, fig. 561;
Giglioli, AG, p. 917, fig. 676.

b) Satiro 51:
P. A. Maffei, tav. XXXV, p. 38;
Gori, MF, III, tav. LVII—LVIII, p. XII;
Bianchi, pp. 193—194;
Pelli I, p. 29 e II, p. 9;
Lanzi, GF, p. 177;
David III, tav. LIV—LV;
Mongez-Wicar, II, 44;
Müller-Wieseler, Denkm, II, p. 462;
Clarac, tav. 715, 1709 (RSt, I, p. 405);
D. 546;
Heydemann, p. 76;
Am. 65;
Bulle, SchM, tav. 80, c. 150 e fig. 32;
Winter, KGB, p. 368, 5;
Dickins, HellSc., p. 7;
Weege, Tanz in der Antike, 1924, p. 13, fig. 11;
Della Seta, NA, p. 471;
Picard, ScAnc, II, p. 307;
Ducati, AC, p. 513, fig. 658;
Salis, KdG, p. 286;
Bieber, HellSc., p. 139, fig. 562
(e Bibl. cit. sopra, lettera a),

c) Ninfa 52:
Vasari, 1646, p. 464;
Gori, MF, III, tav. XXXIII, p. XI;
Bianchi, p. 78;
Lanzi, GF, p. 145;
David, III, tav. XXXI;
Clarac, tav. 609, 1351 (RSt, I, p. 327);
Cumont, MBr, n. 17;
Conze, AZtg, XXV, p. 101, n. 2;
Bernouilli, Aphrodite, p. 379;
Burchhardt, Cic., p. 451, a;
D. 153;
Am. 84;
Bulle, SchM, tav. 170, p. 375;
Klein, Praxiteles, p. 248, n. 53;
Id., Rokoko, p. 86;
Mustilli, BullComm, LVI, 1928, p. 183 ss.;
Ashmole, Ince, n. 194;
Kaschnitz, MagVat, n. 180;
Bieber, HellSc, p. 139, fig. 563;
Deonna, StRobinson, I, pp. 664 ss.

Disegni e incisioni:

a) Satiro: Uffizi 5726—5727 (Gori MF, cit.) Episcopius 1—3.

b) Ninfa: Coll. Leicester, Scuola di Raffaello (cfr. Conze, cit.); Uffizi 5701 (Gori, MF, cit.); 4515, di F. Rossi.

Fot.:
a) Satiro: Brogi 21320; Sopr. Gall. 52830;
b) Ninfa: Brogi 3194, 4332 Alinari 1269.
Credits:
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