Drunken Dionysos
White marble. 1st cent. CE (Claudian Age). Inv. No. 74026.Rome, Roman National Museum, Baths of DiocletianPhoto by Ilya Shurygin

Drunken Dionysos.

White marble. 1st cent. CE (Claudian Age).
Inv. No. 74026.

Rome, Roman National Museum, Baths of Diocletian
(Roma, Museo nazionale romano, Terme di Diocleziano).

Origin:
1817, Rome, via Cassia.
Description:
Italiano IV. 6. STATUA DI DIONISO EBBRO (inv. n. 74026).

Marmo bianco a cristalli di media grandezza; h. cm. 124, con plinto cm. 130.
Ricomposta da sei frammenti. Mancano le ultime falangi della mano destra e l’indice della sinistra. Scheggiato l’orlo del kantharos. Superficie molto corrosa e coperta da una patina rossiccia.
Sono di restauro la caviglia sinistra e quasi tutto il puntello che collega il pilastrino alla statua.

Provenienza: dalla Via Cassia, tra il km. 5 e 6, sulla sinistra del fosso di Acquatraversa (1917).

p.280 Dioniso è rappresentato in aspetto giovanile. Gravita sulla gamba destra mentre la sinistra è incrociata davanti con il piede che sfiora con la punta il terreno. Si appoggia con l’avambraccio sinistro sul piano di un pilastrino parallelepipedo, ricoperto in parte da una pelle ferina. Nella mano regge un kantharos. Un puntello collega la parte alta del sostegno alla coscia sinistra della figura. Il braccio destro è sollevato e portato sul capo che si reclina in basso e verso destra, al punto da rendere poco visibile il volto. Lo sguardo è rivolto alla coppa del vino.

I capelli sono ondulati, spartiti al centro del capo e condotti sulla nuca dove sono raccolti in un nodo da cui scendono ciocche sulle spalle. Una benda cinge la fronte e si nasconde fra i capelli La testa è ornata anche da un ramo d’edera i cui estremi sono intrecciati davanti. Il viso ovale ha lineamenti minuti; il mento è leggermente appuntito. Gli occhi sono orlati da palpebre spesse e sfumate. Le labbra, appena dischiuse, sono piccole e disegnate sinuosamente. Un leggero sorriso è espresso negli zigomi leggermente rialzati e in una sfumatissima piega agli angoli della bocca.

La scultura si presenta come la somma di elementi non riconducibili ad un unico prototipo e quindi come il risultato della contaminazione di più modelli statuari ruotanti intorno al nome di Prassitele. Il motivo della figura appoggiata, insieme a quello della divinità rappresentata in aspetto infantile, viene elaborato dallo scultore attraverso numerose creazioni quali il Satiro in riposo, l’Apollo Sauroctonos, e in particolare l’Eros, noto per le copie di New York e di Napoli da Baia (Rizzo, Prassitele, p. 41, tavv. LXV—LXVII) e un Dioniso, conosciuto solo attraverso le monete di Elis (Id., cit., p. 78, tav. CXVIII) e nominato da Pausania (VI, 26,1; Overbeck, Schriftq., p. 235, n. 1221), che hanno in comune con la statua di Roma anche l’incrocio delle gambe.

Tuttavia lo squilibrio imposto alle sue figure da Prassitele è più apparente che reale; infatti esse per un movimento opposto delle spalle, delle braccia o della testa, finiscono sempre per ritrovare una sorta di equilibrio o per lo meno di rispondenza allo sbilanciamento prodotto dalla posizione di appoggio. La statua nelle Terme si discosta perciò dagli schemi prassitelici essenzialmente per il totale abbandono in cui giace la figura. La gamba portante è l’unico elemento di verticalità; l’altra gamba, il torso, la testa si dispongono lungo un’ideale linea obliqua, che il braccio sollevato anziché turbare asseconda. Nulla riconduce la figura al proprio asse di equilibrio. L’andamento obliquo dello stesso pilastrino rende allora lecito il dubbio che questa particolarità possa attribuirsi anche ai problemi creati da un blocco di marmo di dimensioni troppo piccole.

Il motivo del braccio condotto sul capo richiama l’altro Apollo prassitelico, il c.d. Lykeios, nel quale tuttavia, nonostante la posizione di riposo, testa e braccia sono sostenute da una energia che nel Dioniso delle Terme è completamente assente. Il tipo di Dioniso appoggiato ad un sostegno, noto attraverso una copia del Prado e la bella testa nella collezione Chatsworth, già ricondotto dal Rizzo alla cerchia delle opere di Prassitele (Prassitele, p. 76, tavv. 115b—117), è stato recentemente riallontanato dal nome dello scultore attico anche se è stata comunque confermata l’origine nel IV secolo del soggetto che avrà molta fortuna in seguito (E. Pochmarski, in RömhistMitt, 14, 1972, p. 115 ss.). Inoltre una testa di Dioniso nel museo di Corinto, conservante anche parte di un braccio appoggiato sul capo, attesta la contaminazione fra gli schemi dell’Apollo Lykeios e di Dioniso ad opera dello stesso Prassitele o della sua cerchia. Tuttavia né a questi prototipi pienamente classici né ad alcuna delle rielaborazioni operate nel corso dell’età ellenistica può essere accostato utilmente il Dioniso nelle Terme.

Per la posizione e l’inclinazione della testa, p.281 oltre che per l’analogia più stretta del tema, ci si potrebbe invece soffermare su un tipo di Dioniso ebbro creato in gruppo con il satirello che lo sostiene. La sua origine risale alla metà del IV secolo, sotto l’influsso dell’Apollo Liceo (P. Amandry, in ASAtene, XXIV—XXVI, 1946-48, p. 185 ss.). Fin dalle più antiche elaborazioni di questo gruppo Dioniso appare col braccio sul capo (Venezia, Museo Archeologico, Amandry, art. cit., p. 186, fig. 1). In alcune versioni risalenti al III secolo, quali i gruppi di Firenze e di Leida (Id., art. cit., p. 185 ss., figg. 3 e 4), il passo incerto che il dio compie, in direzione opposta rispetto al satirello che lo sostiene, prannuncia l’incrocio della gamba che è realizzato nel Dioniso delle Terme e che è, infatti, presente in un mosaico di Antiochia con questo gruppo dionisiaco (D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, Princeton 1947, p. 40 ss., 528, tav. VII b).

La diffusione di un’iconografia molto affine a quella della statua di Roma, a partire dall’età ellenistica, è attestata da numerose placchette di osso intagliato, provenienti dall’Egitto per le quali non è possibile fornire una datazione precisa (L. Marangou, Benaki Museum Athens. Bone Carvings from Egypt. I, Graeco-Roman Period, Tübingen 1976, p. 31 ss., tavv. 1-10). La figura, che ha il braccio sul capo, la gamba sinistra incrociata davanti alla destra e si appoggia ad un pilastrino coperto da un himation, differisce solo per la presenza di un tirso nella sinistra e di una panterina ai piedi del dio.

Lo stesso schema appare frequentemente in figurine di terracotta da Tarsus, con le varianti dell’himation davanti alle gambe, e dell’appoggio al tirso, datate ad epoca tardo ellenistica, più probabilmente nel I secolo a.C. (H. Goldmann, Excavations at Gözlü Kule, Tarsus, I, Princeton 1950, p. 316 ss.; Mollard Besques, III, p. 274, tav. 343 a-h). Una statua di Narkissos (?) conservata nei Musei Vaticani (Amelung, I, p. 56 ss., n. 38B, tav. V) testimonia che questa iconografia fu sfruttata ecletticamente in età ellenistica per la rappresentazione di soggetti diversi L’ideale figurativo prassitelico del corpo in riposo e il motivo dell’ebbrezza dionisiaca sono stati dunque riassunti e reinterpretati in età ellenistica con una accentuazione di questi stessi caratteri, abbandonando gli schemi aperti e frontali, ancora classici, e preferendo la figura che si incurva e si richiude in se stessa con trasognato distacco dal mondo, priva di ogni energia.

Il motivo della grande benda intorno alla fronte e della corona di foglie richiama la testa del tipo Basilea-Woburn Abbey attribuita a Leochares (K. Schefold, in OeJh, XXXIX, 1952, p. 93 ss.); tuttavia la forte struttura del volto e alcuni particolari nella disposizione della benda e della corona di foglie rendono inconciliabili le due opere. Anche la citata testa nella collezione Chatsworth ha un’espressione matura e languida, e perciò lontana da quella infantile del giovane Dioniso delle Terme. Il modello con benda e corona è, del resto, ripetutissimo e soggetto a molte variazioni. Anche per la testa di questa statua si potrà parlare di una creazione p.282 ellenistica vagamente ispirata ai volti infantili e sognanti delle creazioni di Prassitele.

Nell’esecuzione della testa la scultura rivela una finezza e una ricerca coloristica e decorativa ancora sobria e controllata; l’uso del trapano è limitatissimo, e nelle incisioni per le ciocche di capelli si osserva una certa semplicità e ruvidezza che si possono attribuire ad uno scultore del primo secolo d.C., forse di epoca claudia. Abbastanza accurato è il modellato della testa, meno l’esecuzione del corpo dove si nota l’eccessiva esilità e brevità delle gambe rispetto al torso, l’assoluta mancanza di muscolatura e la povertà del pilastrino con pelle ferina.

La scultura fu rinvenuta insieme ad altre quattro statue (due statuette di Bacco, una della dea Atargatis e una di Ercole), tutte deposte con cura nel terreno, una accanto all’altra. Probabilmente si ricorse al «seppellimento» degli oggetti di culto in occasione dell’abbandono del sacrario dedicato a Liber Pater che sorgeva in quella località («in praedis Constantiorum»), come attesta un’iscrizione rinvenuta presso le statue (G. Gatti, in bibl., p. 397).

Bibliografia: G. Gatti, in NSc, 1925, p. 390 ss.; R. Paribeni, n. 483; Aurigemma, n. 420.

Neg. GFN 26620 E; AFS.

Emanuela Paribeni
Credits:
© 2012. Photo: Ilya Shurygin.
© 1981. Description: Museo Nazionale Romano. Le Sculture. I, 2. De Luca Editore, Roma, 1981, pp. 279-282, cat. no. IV. 6.
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