Laocoon
Fresco of the Third style from Pompeii (VI. 14. 30).
37—45 CE.
132 × 72 cm.
Inv. No. 111210.Naples, National Archaeological Museum, Hall LXXIIIPhoto by Luigi Spina

Laocoon.

Fresco of the Third style from Pompeii (VI. 14. 30).
37—45 CE.
132 × 72 cm.
Inv. No. 111210.

Naples, National Archaeological Museum, Hall LXXIII
(Napoli, Museo archeologico nazionale, Sala LXXIII).

Pompeii, House of Laocoon (VI, 14, 30, atrium).
Origin:
Pompeii, VI. 14. 30, House of Laocoon, on the south wall of the atrium, 1875.
Description:
Il quadro raffigura uno dei momenti più tragici del ciclo troiano: la morte di lacoonte e dei suoi figli.

Italiano Morte di Laocoonte e dei suoi figli

581. Reg. VI, Is. 14.a, n. 30: atrio.
A. 1,32; larg. della parte cons. 0,72.
Danneggiato sul lato sin.
Mus. Naz.

Verso sin. vedesi Laocoonte dalla barba e dai capelli biondi, coronato d’ alloro e vestito di un chitone rosso manicato, cinto nella vita, con orlo violaceo, di un mantello rosso-scuro, che gli svolazza sul braccio sin., e di alti calzari verdi allacciati, che lasciano nuda la punta del piede. Egli, nel momento che uno dei serpenti lo avvince fra le sue spire, si è rifugiato su i gradini di un grande altare; e poggiando leggermente il piede sin. sull’infimo scalino, fa cadere il peso di tutta la persona sull’ altra gamba, che non è conservata, ma che devesi supporre inginocchiata sul più alto gradino dell’ara, che ne dovea avere almeno quattro. Con la sin. stringe il serpente presso al collo, e molto probabilmente con la dr. si sforzava di tenerlo lontano dal corpo, come si può argomentare dalla spalla dr. fortemente rialzata, e dalla curva formata dal serpente a dr. della testa: i suoi occhi sono rivolti a dr. verso il figlio. L’ altro serpente ha già strozzato uno dei figliuoli giacente sul suolo verso sin., e cinge delle sue spire il secondo, che vestito di clamide pavonazza affibbiata avanti al collo c rappresentato nel momento di cadere: toccando il suolo col ginocchio sin. e con le dita della mano sin., tiene la gamba dr. distesa, e con l’altra mano elevata afferra il serpente, che gli avvolge il ventre ed il braccio dr. Egli guarda in alto. Nel centro del quadro ma più indietro, fugge spaventato il gran toro bianco destinato al sacrifizio, e a dr. evvi un’ altra grande ara ardente, ornata di festoni e coverta da una specie di volta. Dietro a questa sporgono quattro figure virili, che spaventate guardano il prodigio avvenuto; due di esse appajono vestite in turchino. Nello sfondo vedesi un muro avente superiormente una fila di fori quadrati, ed ornato d’un festone, di cui una estremità vien fuori da uno di tali fori: in lontananza si scorgono alberi. Mau crede che questo dipinto sia una derivazione del gruppo vaticano.

Giorn. Scav. Pomp. n. s. III p. 147 sg.
Ann. Inst. 1875 p. 273 sg. tav. d’agg. O.
Bull. Inst. 1876 p. 53 e 63 e 1878 p. 196.
Lessing, Laokoon, ediz. Blümner, Berlin 1876 tav. III.

A. Sogliano (1879)

Italiano 1. Casa del Laocoonte (VI 14, 28—33)

La rappresentazione più antica della morte del sacerdote troiano proviene dalla casa detta perciò “del Laocoonte”, situata nella Regio VI, nell’angolo nordest dell’Insula 144. La domus ha una storia complessa, perché, dopo il terremoto del 62 d. C., vi fu ricavata una taberna al pianterreno, distaccando così dalla casa alcune stanze in origine connesse all’atrio. La maggior parte della decorazione pittorica è attribuita al tardo III stile e perciò precede i mutamenti planimetrici. A questa fase, posta nel secondo quarto del I sec. d. C., appartiene anche l’affresco raffigurante la morte di p.47 Laocoonte situato nella parte pubblica della domus, nella parete meridionale dell’atrio. La scena era collocata al centro di un’edicola sormontata da un fregio egittizzante di alta qualità e inserita in uno scorcio architettonico molto elaborato.

1. 1. La morte di Laocoonte

Della grande tabula, nota anche grazie ad alcune riproduzioni fatte al momento della scoperta, si è conservata solamente la parte destra, pari a circa i tre quarti dell’affresco antico (figg. 1—3)5: la scena si svolge all’interno di alte mura inghirlandate, alle spalle delle quali appare una fitta vegetazione6. Laocoonte, barbato, porta una corona d’alloro e indossa stivaletti policromi, che lasciano nude le dita dei piedi, un mantello colorato e un’ampia tunica ricamata lungo il bordo, stretta in vita da una cintura caratterizzata dai lunghi capi pendenti (probabilmente una zone persiké)7. Questa sua raffigurazione vuole così restituire l’immagine di un sacerdote troiano (come Chryses davanti ad Agamennone nella tabula Iliaca capitolina8) e ricorda alcune variopinte descrizioni virgiliane del costume “frigio” e, in particolare, della sua versione più effeminata e “barbara”, quella del sacerdote e vate Cloreo, che porta, oltre alla corazza, una crocea chlamys, le tuniche ricamate e appunto barbara tegmina (ossia brachae)9.

p.51 Nell’affresco Laocoonte occupa dunque la parte destra ed è raffigurato usando il fortunato schema dell’eroe con il ginocchio puntato, con il quale si intendeva mostrare, insieme al suo sforzo di non perdere l’equilibrio, anche la drammaticità stessa del momento10: la nudità eroica consueta in questo tipo iconografico è stata però evitata, adattando l’immagine alle esigenze realistiche della condizione di un maturo sacerdote sacrificante e sfruttando così una soluzione già impiegata per rappresentare l’uccisione di Priamo in due vasi apuli, nei quali il re, incalzato da Neottolemo, è raffigurato appoggiato all’altare di Zeus Herkeios e vestito in costume orientale11. Anche Laocoonte si addossa a un basamento formato da tre gradini, da dove, fissando il figlio ancora in vita, cerca di resistere al serpente che lo ha però ormai avvolto nelle sue spire e gli morde il collo12. Laocoonte usa per difendersi la sinistra, ma è probabile che alzasse anche il braccio destro (ora perduto), verosimilmente con lo stesso intento, anche se inutilmente, perché ormai il suo mostruoso assalitore era già scivolato alle sue spalle13. Nel frattempo il secondo serpente assale uno dei due figli, che è raffigurato nudo, con indosso il solo mantello e mentre si difende tanto disperatamente quanto inutilmente; l’altro figlio, anch’egli nudo, giace invece a terra morto14. L’attacco dei serpenti è quindi verosimilmente p.52 iniziato dai figli, ma è proseguito con una sorta di divisione dei compiti tra gli angues, distaccandosi così parzialmente dal racconto di Virgilio, il quale invece aveva insistito su un assalto in sequenza, concluso dal doppio avvolgersi delle spire di entrambi i serpenti intorno al corpo di Laocoonte15.

Sullo sfondo della scena il toro destinato al sacrificio fugge alla vista degli angues, caricando infuriato davanti all’altare modanato e inghirlandato, sopra il quale si nota una sorta di baldacchino a ombrello (forse serviva a proteggere il fuoco, visibile al centro dell’ara). Dietro l’altare si trovano quattro spettatori troiani inorriditi. Per terra sono abbandonate due phialai (paterae) e una oinochoe (urceus), ossia gli strumenti che dovevano essere usati nel sacrificio16. L’immagine del toro infuriato e la dispersione degli oggetti rituali hanno lo scopo di mostrare l’interruzione drammatica dell’ordo prestabilito delle azioni del sacrificio, che doveva essere rigorosamente rispettato perché esso fosse efficace: è il segno che quanto sta avvenendo è un prodigio, sicuramente classificabile, almeno nel mondo romano, come dirum17.

La scomparsa di una parte significativa del quadro impedisce purtroppo una ricostruzione completa dell’azione, ma alcuni dettagli possono offrire spunti utili ad avanzare perlomeno un’ipotesi sulla sua ambientazione. Le mura inghirlandate che circondano l’area dove si trova Laocoonte indicano infatti che il sacrificio si svolgeva all’interno del recinto di un temenos (non possono essere le mura cittadine), forse extraurbano18. Inoltre Laocoonte porta verosimilmente una corona laureata che può essere interpretata come un riferimento al culto apollineo19, di cui p.53 egli era sacerdote almeno secondo Euforione e Igino20, e forse anche collegata al dono della profezia, che gli è attribuito solo nell’Epitome di Apollodoro (μάντις), ma che è implicito nel motivo del suo annuncio premonitore del pericolo costituito dal Cavallo. Al significato apollineo della corona laureata in ambito cultuale allude Virgilio, quando, descrivendo Anius, sacerdote di Apollo delio, lo presenta con le tempie coronate d’alloro21. Anche Helenus, il fratello di Cassandra, è raffigurato in un cratere apulo a volute del Pittore degli Inferi con indosso la corona laureata e un ramo d’alloro in mano22, mentre in una Silberkanne firmata da Oktavios Menodoros si riconosce la scena dell’offerta di un toro a un sacerdote di Apollo barbato e laureato, nel quale è possibile identificare proprio Anius oppure Crise, il padre di Criseide23.

Il monumento cui si appoggiava Laocoonte, sopraelevato da una base a gradini, che è vista di tre quarti, costituisce infine una vera e propria crux interpretativa: la soluzione in sé più ragionevole (anche per il confronto con il Laocoonte vaticano che si appoggia a un’ara posta su due gradini), che si tratti cioè della gradinata di un altare cerimoniale24, pone in realtà diversi problemi. In primo luogo comporterebbe una reduplicazione dell’altare, visto che ne esiste già uno alla destra del sacerdote. In un vero temenos infatti la presenza di più are25, in questo caso distinte per tipologia (l’una posta su una gradinata e l’altra dotata di una base p.54 modanata), benché rara, sarebbe comunque possibile e potrebbe segnalare un loro differente impiego cultuale; tuttavia nelle immagini antiche dei sacrifici questa molteplicità di are non è di solito raffigurata26. Inoltre la ricostruzione di un altare sopra la gradinata si scontra con il ridotto spazio disponibile, considerato che il monumento, visto che l’ombra della gamba del sacerdote cade proprio a metà dei gradini, era molto stretto e che il ginocchio destro di Laocoonte doveva necessariamente essere puntato sul ripiano formato dal terzo gradino, mettendo così in discussione proprio la presenza di un altare sul basamento.

Esistono inoltre delle alternative: nella tradizione iconografica pompeiana concernente una profezia di Cassandra pronunciata in un Apollonion a Paride e a Ettore (oppure a Enea)27 si ripete, anche se in forma più monumentale, il motivo della gradinata, che sostiene in quel caso la trapeza per le offerte dove era posta l’urna usata nella divinazione. Il motivo della trapeza caduta si trova in effetti nel quadro con Laocoonte della Casa del Menandro, dove segnala l’interruzione del sacrifico, e poteva essere raffigurato nella parte perduta del nostro affresco28. Un’alternativa più suggestiva è ricostruire invece la presenza sul basamento della statua del dio (Apollo) cui era rivolto il sacrificio, spostata a sinistra rispetto a Laocoonte. La scena sarebbe così risultata simile ad alcune immagini della hikesia di Cassandra presso la statua di Atena, eretta su una base a gradini nella Casa del Menandro (vedi infra) e in un rilievo neoattico oggi a Villa Borghese, parte della decorazione architettonica di un edificio29. La p.55 statua di Apollo svolgeva del resto un ruolo nel racconto mitico, perché Laocoonte avrebbe commesso, secondo Euforione, ante simulacrum numinis il sacrilegio punito dall’invio dei serpenti30; e poi gli stessi serpenti si rifugiarono presso la statua del dio, un tema illustrato nella ceramica apula e attestato da Quinto Smirneo che evidentemente seguiva su questo punto una versione classica del mito31. Un’altra possibilità è la presenza di un tripode, un altro simbolo apollineo, che compare un po’ inaspettatamente in uno dei due disegni di Filippino Lippi e nel quadro del Maestro di Serumido riproducenti l’affresco di Poggio a Caiano32.

Indipendentemente dalla soluzione accettata (vista la perdita di parte dell’affresco non si può andare oltre la congettura), Laocoonte sarebbe stato raggiunto dal serpente mentre tentava di rifugiarsi presso un arredo cultuale del santuario in una sorta di sfortunata hikesia che, nel mito, se posta in un temenos, doveva probabilmente rimandare anche alla colpa da lui commessa in quello stesso luogo nei confronti di Apollo33. Sono coerenti con questa lettura non solo l’ambientazione e l’azione compiuta dal sacerdote, ma anche l’enfasi sul lussuoso e policromo costume orientale, segno di luxuria, come per Paride, e la corona laureata intesa quale simbolo del suo sacerdozio apollineo. Il quadro raffigurerebbe dunque una p.56 versione del mito indipendente da quella virgiliana e legata alla tradizione letteraria classica ed ellenistica che faceva di Laocoonte il sacerdote di Apollo Timbreo, punito non solo quale oppositore del Cavallo, ma anche per sua colpa.

Matteo Cadario
4PPM V, 1994: VI 14, 28. 33, pp. 341—362 (I. Bragantini) e PPM, La documentazione nell’opera di disegnatori e pittori dei secoli XVIII e XIX, 1995, p. 868, n. 38 (I. Bragantini), Napoli, MAN, inv. 111210.

5PPM V, 1994: VI 14, 28. 33, pp. 352—354, nn. 15—17 (h. cm 132 × 72). Laocoonte. Alle origini dei Musei Vaticani, op. cit., 2006, p. 122, n. 7 (P. Liverani); E. Simon, op. cit., 1992, p. 198, n. 5; Ead., op. cit., 1987, p. 114.

6La notizia esplicita di Laocoonte sacrificante al momento della sua punizione è attestata per la prima volta nella poesia ellenistica da Euforione, almeno secondo il riassunto di Servio (cfr. U. Gärtner, op. cit., 2005, pp. 144—146), e da Nicandro che allude alla morte di un figlio di Laocoonte su un altare e collega il racconto ad Apollo Timbreo (Suppl. Hell. 1983, fr. 562, pp. 274—277 = P. Oxy. 2812 ii 24—36).

7Per la cintura nel costume sacerdotale si può citare come confronto una statua cipriota di un mageiros di Apollo, conservata al Ringling Museum of Arts di Sarasota, cfr. E. Fontani, Le feste, in I Greci. Storia Cultura Arte Società, a cura di S. Settis, 4, Atlante, I, Torino 2002, pp. 649—759 (p. 753, fig. 141).

8Chryses è barbato e porta una lunga tunica, cfr. K. Schefold, Chryses I, in LIMC III, 1, 1986, pp. 283—285 (p. 283, n. 1).

9Vedi Verg. A. XI 768—777 e cfr. N. Horsfall, Vergil, Aeneid 11. A Commentary, LeidenBoston 2003, pp. 410—417. Sul costume troiano cfr. anche Verg. A. IX 614—616: Vobis picta croco et fulgenti murice vestis, / desidiae cordi, iuvat indulgere choreis, / et tunicae manicas et habent redimicula mitrae e vedi P. Habermehl, Petronius, Satyrica 79—141. Ein philologisch-literarischer Kommentar, 1, BerlinNew York 2006, pp. 188—189.

10Cfr. J. M. Moret, Le Laocoon agenouillé: généalogie d’un type iconographique, in “RA” 1, 2002, pp. 3—29 (pp. 11—12); S. Settis, op. cit., 1999, pp. 38—39; J. M. Moret, L’Ilioupersis dans la céramique italiote. Les mythes et leur expression figurée au IVe siècle (Biblioteca Helvetica Romana, 14), Genève 1975, pp. 103—134. Più in generale si veda C. Franzoni, Tirannia dello sguardo. Corpo, gesto, espressione dell’arte greca, Torino 2006, pp. 75—99.

11Sul tema J. M. Moret, op. cit., 1975, pp. 110—111 e J. Neils, Priamos, in LIMC VII, 1, 1994, pp. 507—522 (p. 517, nn. 99—100). L’inedita immagine imberbe e “amazzonica” di Priamo dell’anfora del Louvre K 88 dimostra però che l’iconografia, concepita in origine per giovani eroi, si adattava solo con una certa difficoltà a una figura di uomo anziano. Per la morte di Priamo, cfr. M. J. Anderson, op. cit., 1997, pp. 29—38.

12Le spire sono disposte come in un bronzetto da Belâtre raffigurante Laocoonte in fuga e con il braccio destro sollevato, cfr. S. Settis, op. cit., 1999, p. 69; S. Ferri, Aspetti ipotetici di un ulteriore restauro al gruppo del Laocoonte, in “ArchClass” 2, 1950, pp. 66—69.

13Incurvando il braccio destro egli poteva però cercare di allontanare comunque il corpo del mostro, come nella statua dei Musei Vaticani, cfr. S. Ferri, op. cit., 1950, pp. 68—69.

14Nella tradizione letteraria (cfr. l’utile discussione in U. Gärtner, op. cit., 2005, pp. 113—160) esistono versioni molto diverse dell’episodio: alcune fanno morire insieme al padre un solo figlio (Arctino, Nicandro e gli scholia a Licofrone) o entrambi i figli (Virgilio, Igino, un altro degli scholia a Licofrone, forse Sofocle e Dionigi) o ancora fanno loro sopravvivere il padre (forse Sofocle, certamente Apollodoro e Quinto Smirneo).

15Verg. A. II 219: bis medium amplexi, bis collo squamea.

16La presenza di due paterae attribuisce forse ai due figli di Laocoonte il ruolo di assistenti, suggerito anche da Petr. 89, 27—29: infulis stabant sacri / Phrygioque cultu gemina nati pignora / Lauconte. Lo stesso vale per la Casa del Menandro.

17Vedi R. M. Smith, Deception and Sacrifice in “Aeneid” 2. 1—249, in “AJPh” 120, 4, 1999, pp. 503—523 (pp. 518—520) e cfr. H. Kleinknecht, Laokoon, in “Hermes” 79, 1944, pp. 66—111 (pp. 74—77). Questi elementi, di per sé marginali, sono forse quelli più “virgiliani” e “romanizzati” del quadro.

18Lo suggeriscono gli alberi oltre il muro (il lucus Thymbraei in Dict. Cret. II 52) che non sembrano plausibili per un culto in arce (come quello citato in Serv. in Verg. A. II 319). Si dovrebbe quindi escludere lo svolgimento del rito all’interno della città, ossia la versione suggerita già dal riassunto di Arctino e sviluppata in Quinto Smirneo. Su questa, cfr. U. Gärtner, op. cit., 2005, p. 209.

19Il laurus caratterizza il dio e in particolare Apollo Timbreo, cfr. Verg. A. III 85—91 con l’invocazione di Enea ad Apollo Delio, chiamato però Thymbraeus, cui segue lo scuotimento dell’alloro del dio.

20Su Laocoonte sacerdote di Apollo e sulla collocazione dell’attacco dei serpenti nel santuario di Apollo Timbreo: Schol. Alex. 347; Nicandro in Suppl. Hell. 1983, fr. 562; Serv. ad Aen. II 201 (riporta la versione di Euforione) e Hyg. F. 135 e cfr. U. Gärtner, op. cit., 2005, pp. 141—143, per la possibilità che questa fosse già la versione del Laocoonte di Sofocle.

21Verg. A. III 80: sacra redimitus tempora lauro. Anche la Sibilla porta la corona d’alloro: Luc. V 143—144.

22Cfr. N. Icard-Gianolio, Helenos, in LIMC VIII, 1, 1998, pp. 613—614 (p. 613, n. 1).

23Cfr. K. Schefold, op. cit., 1986, p. 284, n. 5; E. Künzl, Das Gebet des Chryses, in “JRGZ” 31, 1984, pp. 365—387. Sembra più probabile l’identificazione di Anchise nell’offerente e di Anius nel sacerdote, perché questi indossa himation e krepides e dunque è connotato come Greco.

24Per l’altare un confronto si troverebbe nel rilievo di provenienza eginetica del Museo Nazionale di Atene in E. Simon, Hekate in Athen, in “MDAI(A)” 100, 1985, pp. 271—284 (pp. 279—280).

25Secondo Virgilio (A. II 202) Laocoonte stava uccidendo il toro ad aras, ma Virgilio preferisce usare sempre il plurale arae, cfr. P. Vergili Maronis Aeneidos liber secundus, a cura di R. G. Austin, Oxford 1964, p. 251.

26Contra J. M. Moret, op. cit., 2002, p. 27, dove considera il doppio altare un elemento distintivo dell’iconografia pittorica della morte di Laocoonte, ma due altari non si riconoscono nella Casa del Menandro e le due are nella miniatura del Virgilio Vaticano sembrano il frutto di una reduplicazione dovuta alla ripetizione della figura di Laocoonte (vedi infra).

27Nei quadri rinvenuti nella cosiddetta Accademia della Musica (VI 3, 7) e nella Casa della Grata metallica (I 2, 28), cfr. O. Paoletti, Kassandra I, in LIMC VII, 1, 1997, pp. 956—970 (p. 959, n. 28 a—c). Vedi anche PPM I, 1990: I 2, 28, pp. 62—63, n. 12; PPM IV, 1993: VI 3, 7, pp. 288—289, n. 20. Il tripode conferma tale collocazione.

28La trapeza caduta si trova anche nell’affresco pompeiano (V 4, 11: Casa di M. Lucretius Fronto) raffigurante l’uccisione di Neottolemo a Delfi, ritenuto iconograficamente vicino alle immagini pompeiane della morte di Laocoonte, cfr. J. M. Moret, op. cit., 2002, pp. 18—19.

29Cfr. M. de Cesare, Le statue in immagine. Studi sulle raffigurazioni di statue nella pittura vascolare greca (Studia archaeologica, 88), Roma 1997, pp. 54—55. Per immagini di simili basi di statue: ivi, p. 84, fig. 34; p. 89, fig. 40. Sul rilievo vedi P. Moreno, A. Viacava, I Marmi Antichi della Galleria Borghese, Roma 2003, p. 151, n. 117.

30Su questa versione, cfr. U. Gärtner, op. cit., 2005, pp. 144—146. Laocoonte si sarebbe congiunto alla moglie nel santuario.

31Sui vasi: G. Postrioti, Laocoonte in Magna Grecia, in “ArchClass” 57, 2006, pp. 29—42; S. Settis, op. cit., 1999, pp. 66—67; M. de Cesare, op. cit., 1997, pp. 93—94; E. Simon, op. cit., 1992, pp. 197—198, nn. 1—2. I due vasi apuli (un cratere di Basilea del Pittore di Pisticci e un frammento della collezione Jatta della cerchia del Pittore dell’Ilioupersis) mostrano entrambi il momento in cui i serpenti, dopo aver ucciso solo i figli di Laocoonte, si rifugiano presso la statua di culto di Apollo (cfr. Q. S. XII 479—481) a loro volta inseguiti da una donna armata di ascia (la moglie del sacerdote Antiope oppure Cassandra) e dallo stesso Laocoonte. L’Apollo raffigurato è daphnephoros. La presenza della scena nella ceramica apula può essere un’eco di Sofocle oppure di Bacchilide; sulla fonte di Quinto Smirneo cfr. U. Gärtner, op. cit., 2005, pp. 211—212, che pensa a Bacchilide.

32Cfr. J. Katz Nelson, op. cit., 2004, pp. 423—430.

33Il racconto di Euforione sembra il più vicino alla versione raffigurata (Laocoonte, in origine sacerdote di Apollo, muore insieme ai due figli). È interessante che allo stesso Euforione sia attribuita una versione razionalistica della leggenda del Cavallo (Lyd. Mens. IV 140 = fr. 73 Groningen), a conferma del fatto che difficilmente il poeta calcidese può aver collegato la morte di Laocoonte all’opposizione all’ingresso del Cavallo. Si ricordi che anche Nicandro (Suppl. Hell. 1983, fr. 562) collegava l’assalto dei serpenti al santuario di Apollo Timbreo, facendo morire forse solo un figlio del sacerdote. Sulla colpa di Laocoonte, cfr. anche S. V. Tracy, Laocoon’s Guilt, in “AJPh” 108, 3, 1987, pp. 451—454.
Literature:
Pompei, pitture e mosaici, a cura di G. Pugliese Carratelli, I. Baldassarre, voll. I—X, Roma 1990—2004: V 1996, 352—354, figs. 15—17.
Credits:
Google Cultural Institute.
© Photo: Luigi Spina.
2019. Add. information: http://pompeiiinpictures.com.
1879. Description (1): A. Sogliano, Le pitture murali campane scoverte negli anni 1867-79. Napoli, 1879. P. 115, no. 581.
© 2007. Description (2): M. Cadario. «Signum Periturae Troiae». Gli Altri Laocoonti Nella Pittura Romana, in: Il Laocoonte dei Musei Vaticani: 500 anni dalla scoperta, a cura di Giorgio Bejor, Milano, 2007. Pp. 46—56.
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