Scene in a port
Glass paste.
2nd—3rd cent. CE.
193 × 202 × 3 cm.
Inv. No. AC 32360.Rome, Municipal Antiquarium on the Caelian HillPhoto by Zeno Colantoni

Scene in a port.

Glass paste.
2nd—3rd cent. CE.
193 × 202 × 3 cm.
Inv. No. AC 32360.

Rome, Municipal Antiquarium on the Caelian Hill
(Roma, Antiquarium comunale del Celio).

Rome, Capitoline Museums.
Origin:
Rome, via Nazionale, in Piazza di Pietra, Campo Verano, and Palazzo Rospigliosi, 18 Mar. 1878. Donated to the Capitoline museums by Principe Pallavicini. Placed in the Municipal Antiquarium.
Description:

Italiano 7. Scena di porto

Tessere di marmo e paste vitree.
Provenienza: Roma, via Nazionale (palazzo Rospigliosi), 1878.
Roma, Antiquarium Comunale, inventario 32360.
cm 193 × 202 × 3.
II—III secolo d. C.

L’eccezionale rinvenimento avvenne nel corso degli scavi di fine Ottocento per l’apertura di via Nazionale, in una struttura identificata come un criptoportico che doveva collegare vari nuclei di una grande proprietà privata.

Il mosaico, inserito in un complesso programma decorativo descritto nelle relazioni di scavo, doveva costituirne il punto focale, così come suggeriscono l’ampiezza e l’originalità del tema rappresentato.

La costruzione a più piani che occupa tutto il lato sinistro, raffigura infatti il faro di Alessandria descritto, nel mosaico, con quei particolari che ne potevano permettere l’identificazione immediata. La torre luminosa progettata da Sostratos, considerata una delle sette meraviglie del mondo antico, era costituita da vari nuclei sovrapposti, tra i quali una struttura intermedia di forma ottagonale (qui evidenziata dal diverso andamento dei blocchi che la compongono) e quella terminale cilindrica. Sull’attico della parte intermedia erano poste statue di tritoni in bronzo (qui tratteggiati con elementi sinuosi in bruno e giallo), mentre la statua, in questo caso posizionata sul tetto, doveva trovare collocazione altrove. Dalla banchina, con le profonde arcate di sostruzione e con i pilastrini per l’ormeggio, sta salpando una nave mercantile o da diporto.

Oltre alla minuziosa descrizione degli apparati per il governo dell’imbarcazione, il mosaicista ne evidenzia gli elementi decorativi, utilizzando per esempio tessere brune e gialle per descrivere i riflessi delle decorazioni in bronzo sulla fiancata o in giallo brillante e verde chiaro per dare effetto di leggerezza alla transenna a cancello che chiude la murata.

Le silhouettes dei marinai, impegnati al timone, alla manovra delle vele, alla sistemazione del carico, sono tratteggiate invece in maniera più veloce, con rapidi tocchi di colore a suggerire la carnagione brunita dal sole sotto le tuniche da lavoro, senza tuttavia trascurare annotazioni particolarmente significative come l’età matura del gubernator, a cui fa riferimento la corta barba bianca dell’uomo, seduto a poppa e protetto dall’aplustre.

Raffigurazioni di navi sono comuni a Ostia dove vengono utilizzate come insegne commerciali, ma anche nei mosaici africani — in riferimento a episodi mitologici o letterari o ancora in una sorta di catalogo delle imbarcazioni antiche — ma nessuna raggiunge la raffinatezza e la precisione di dettagli della nave del mosaico capitolino.

Le tessere, in gran parte di pasta vitrea per consentire maggiore leggerezza e aderenza alla parete e per ottenere effetti di luminosità, seguono il disegno in filari regolari, orizzontali o diagonali per campire le più ampie superfici del mare e del cielo o per rendere le murature, mentre si ricorre a un ordito semicircolare, a file oblique parallele o a una disposizione variata, per evidenziare il gonfiarsi della grande vela quadra.

Questi accorgimenti tecnici e l’effetto scenografico dell’insieme, ottenuto con rapide lumeggiature, con macchie di colore e con vibranti accostamenti di luce-ombra, si ricollegano alle esperienze stilistiche del periodo tra la fine dell’età antonina e l’inizio di quella severiana. In questo ambito cronologico del resto si può datare un intervento edilizio sulla struttura del criptoportico, all’interno della grande proprietà verosimilmente attribuibile alla famiglia dei Claudi Claudiani.

Bibliografia:
H. Stuart Jones, A catalogue of the ancient sculptures preserved in the Municipal Collections of Rome. The Sculptures of the Palazzo dei Conservatori, Oxford 1926, Gall. Sup., I, 1, pp. 268—270;
C. Salvetti, Appunti sul mosaico con scena di porto dell’Antiquarium Comunale, in Atti II Coll. AISCOM (Roma 1994), Bordighera 1995, pp. 383—394.

Carla Salvetti

Claudius Claudianus clarissimus vir?
Gli scavi per l’apertura di via Nazionale e il ritrovamento del mosaico con scena di porto

Il ritrovamento nella proprietà Rospigliosi Pallavicini del mosaico con scena di porto, conservato all’Antiquarium Comunale, va messo in relazione con i grandi lavori di viabilità iniziati subito dopo il 1870 e portati a termine nel giro di un paio di decenni, in particolare nella zona nord-orientale della città. Il rinnovamento urbanistico che segui al trasferimento a Roma della Capitale del Regno d’Italia e la frenetica attività edilizia per il risanamento di interi quartieri e per la costruzione di nuovi edifici pubblici, venne seguendo le linee programmatiche già tracciate, ai tempi di papa Pio IX, dal suo potente ministro delle armi, mons. De Merode, proprietario per altro di vaste aree a ridosso delle Terme di Diocleziano. Si impostano quindi, poco prima del 1870, iniziative che incideranno in modo sostanziale sullo sviluppo urbanistico delle aree nord-orientali della città, in particolare la collocazione della stazione ferroviaria a Termini, l’apertura di via Nazionale e la successiva sistemazione dell’Esedra1.

Si deve di conseguenza a quei programmi l’individuazione del nuovo asse di espansione della città e la realizzazione del fondamentale collegamento tra la «Roma alta» e le zone pianeggianti centrali, cioè l’asse di via Nazionale parallelo alla via Pia (poi via del Quirinalevia XX Settembre), nella depressione tra Quirinale e Viminale, che inciderà profondamente sulla trasformazione non solo urbanistica ma anche morfologica dei due colli2. Fino a quest’epoca infatti Quirinale e Viminale, piuttosto omogenei come struttura geologica, ma già in antico interessati da trasformazioni tali che ne avevano modificato i contorni, l’elevazione e la relazione con le alture circostanti3, si connotavano come aree per lo più a carattere agricolo, anche se dal ‘600 in poi si era andata accentuando la trasformazione degli orti in giardini, annessi alle singole ville, rimanendo solo lungo i prospetti delle strade, tracciate tra il ‘500 e il ‘600, la tipologia degli insediamenti abitativi d’affitto4.

Sulla base delle iniziative già promosse da papa Pio IX e da mons. De Merode e seguendone l’impostazione generale, ebbe inizio dopo il 1870 una febbrile attività, invano contrastata da voci autorevoli di politici e studiosi che p.68 tentavano di mettere in guardia dalle massicce speculazioni edilizie e dalla perdita irreparabile di un patrimonio storico ed archeologico di incredibile interesse: con l’acquiescenza del Comune e irrimediabilmente a danno di questo e a vantaggio delle società finanziarie, cui era affidata la gestione dei lavori, furono portate a termine operazioni urbanistiche molto discutibili e soprattutto fu stravolta buona parte della città.

Questo massiccio programma di interventi dette luogo ad una tale quantità di ritrovamenti (come era logico supporre dal momento che si operava in aree con stratificazioni millenarie), che ben presto la Commissione Archeologica Comunale5 e gli Ispettori della Regia Soprintendenza, incontrarono notevoli difficoltà e non riuscirono a tener dietro a tutti i cantieri, perdendo un patrimonio di dati e di notizie irripetibile per la conoscenza della città antica. La mole dei compiti: sorvegliare gli scavi, rilevare le strutture antiche, raccogliere, trasportare e sistemare i reperti, determinò una descrizione spesso affrettata dei ritrovamenti, effettuata sotto la spinta e l’urgenza dei lavori edilizi e non impedi la distruzione parziale o totale delle strutture che venivano emergendo. In altri casi la presenza di grandi nuclei storico-artistici (palazzi, chiese), che limitavano le aree di scavo, portarono ad una conoscenza incompleta e frammentaria dei siti, tanto da non consentire, ai pochi che seguivano i lavori, di precisare limiti e confini, articolazione e destinazione di molti impianti antichi di cui veniva segnalata la presenza; la ristrettezza dei cavi poi permetteva p.69 a volte di evidenziare solo esigue parti di murature, di cortine, di pavimentazioni.

I lavori per l’apertura di via Nazionale iniziarono nel 1872 nella zona adiacente all’Esedra per interessare solo verso il 1875, dopo una lunga e travagliata scelta sullo sbocco da dare alla strada6, il tratto dall’altezza di via delle Quattro Fontane a piazza Magnanapoli: tra il 1875 ed il 1876 si lavorava nelle aree espropriate di villa Aldobrandini, palazzo Rospigliosi Pallavicini, palazzo Sacripante. A parte una breve ripresa nel 1901 per la costruzione di magazzini su un terreno ceduto dai Rospigliosi lungo la via Nazionale7, solo in anni recenti sono state riprese le indagini a seguito di una campagna di rilevamento e risanamento nelle cantine e nei sotterranei dei palazzi che si allineano nella prima parte della via, ad opera della Soprintendenza Archeologica di Roma8, mentre più recentemente cavi di servizio hanno evidenziato strutture murarie appena al di sotto del manto stradale. Questi interventi, dei quali è stata data peraltro solo un’informazione parziale, hanno confermato la presenza ed hanno puntualizzato la destinazione di alcuni impianti, già descritti in una serie di articoli apparsi sul Bullettino Comunale e su Notizie degli Scavi a partire dal 1876 e puntualmente riportati da Lanciani nella Forma Urbis9 (fig. 1).


1. Lanciani, Forma Urbis, tav. 22.

Le strutture emerse durante gli scavi ottocenteschi vennero attribuite ai magazzini di Nevio Clemente, identificati in una serie di ambienti allineati e aperti verso la strada, ritrovati sotto Villa Aldobrandini, alle terme di Costantino e ad una serie di domus private, antecedenti alle stesse terme e da queste inglobate. La stratificazione degli insediamenti abitativi sul colle, documentata almeno dall’età repubblicana da una serie di murature in opus reticulatum, rende la topografia della zona piuttosto complessa, con almeno tre quote: un livello di età imperiale che si sovrappone a quello repubblicano ed un livello di IV secolo che si innesta sui due precedenti. Agli inizi del IV secolo infatti una vasta area sulle pendici meridionali del colle veniva spianata per la costruzione dell’edificio termale voluto da Costantino (fig. 2). I ruderi di queste terme, che si conserveranno in misura notevole fino al XVII secolo10, verranno successivamente abbattuti per la costruzione del palazzo del cardinale Scipione Borghese, poi di proprietà della famiglia Rospigliosi Pallavicini11. Per l’impianto del palazzo seicentesco vennero in parte demolite, in parte utilizzate come fondazioni, le strutture costantiniane e furono obliterati i resti a suo tempo inglobati dalle terme12.


2. M. Cartaro, pianta di Roma, 1576, particolare (da Frutaz, tav. 240).

p.70 A questa complessa stratificazione fanno riscontro le scarne notizie delle fonti, sul Quirinale in generale e su questo settore in particolare, ove anche le terme di Costantino sono menzionate solo da Aurelio Vittore13. D’altra parte sappiamo invece che l’Alta Semita era in epoca imperiale un quartiere densamente abitato, con grandi ville e domus dell’aristocrazia romana, di notevole estensione e ricchezza, dislocate soprattutto nella parte più alta del colle: i Cataloghi Regionari, ancora nel IV secolo ne fanno una delle regioni più ampie e più popolate, in rapporto alla grande estensione degli edifici pubblici esistenti nell’area14.

La conformazione morfologica del colle ha condizionato fin dall’epoca più antica il tracciato viario, articolato essenzialmente nelle due direttrici parallele (con andamento SO-NE), quella lungo la dorsale (vicus laci FundaniAlta Semita corrispondente all’asse via del Quirinalevia XX Settembre) e quella nella depressione tra Quirinale e Viminale, il vicus Longus, con un tracciato pressocché analogo all’odierna via Nazionale; strade secondarie permettevano il collegamento tra l’Alta Semita ed il vicus Longus15.

Se le notizie fomite dalle fonti letterarie sono alquanto succinte, il ritrovamento durante gli scavi di documenti epigrafici e di fistule acquarie timbrate, fornisce una sia pur limitata testimonianza di quel ricco complesso di case private che doveva occupare l’area meridionale del colle. Lanciani traccia uno schema delle proprietà sulla base dei ritrovamenti delle fistule16 e in particolare localizza nell’area sottostante alle terme di Costantino, tra l’abside del calidarium e l’esedra esterna, la domus di Claudius Claudianus e di Claudia Vera, alle spalle della quale era la domus Postumiorum; la domus di Avidio Quieto, forse il legato di Domiziano, nell’area del giardino Rospigliosi e, sulla scorta p.72 di una notizia di Ammiano Marcellino17, la casa di Ceionius Rufus Volusianus Lampadius, praefectus urbis nel 366 d. C., tra via della Consulta ed il recinto delle terme. Altre proposte di identificazione restano incerte a causa della presenza, nella zona di Termini, di un castello di distribuzione delle acque Marcia, Tepula e Iulia, cui erano evidentemente collegati i condotti privati, destinati a varie zone della regione.

Fin dal 1875 quindi nell’area del giardino di palazzo Rospigliosi, più precisamente nella zona compresa tra via XXIV Maggio, via e vicolo Mazzarino e l’attuale via Nazionale, furono messe in luce, durante gli scavi, dapprima strutture appartenenti alle terme costantiniane:

«Nella via Nazionale, sotto il palazzo Rospigliosi e propriamente tra l’orto Mercurelli e la via Mazzarino apparvero alcuni muri di opera laterizia, che costituivano una delle grandi sale delle terme di Costantino, aderente all’exedra ornata di portici, nonché una stanza con pezzi del suo pavimento e più frammenti di comici di marmo colorato (…). Qui si videro ricomparire nel medesimo sito due muri a cortina, con archi e mensole, in tutta la lunghezza del nuovo tratto di via, i quali chiudendo il lato orientale della cinta esterna delle terme, avevano a destra gli avanzi di camere più antiche»18.

Accanto ai ritrovamenti pertinenti all’edificio termale ne vengono segnalati altri che riguardano fabbriche di età precedente, presumibilmente domus. Le notizie, piuttosto scarne, sono le stesse che si ritrovano negli appunti di Lanciani19, nel Registro dei Trovamenti20 redatto dagli assistenti di scavo e in Notizie degli Scavi21: l’esiguità dei dati riferiti, pure accompagnata da minuziosi elenchi degli oggetti rinvenuti, dà la misura della fretta con cui si doveva lavorare e della casualità delle scoperte, determinate più che altro dalle esigenze di cantiere. Poiché raramente vengono indicate le quote dei ritrovamenti, risulta piuttosto arduo definire la pertinenza delle murature a edifici di varie epoche e la mancanza di questo dato risulta particolarmente negativa là dove si sovrappongono o si intersecano murature spettanti a fabbriche private.

Una serie di notizie più circostanziate si comincia ad avere quando ci si imbatte in quello che viene di volta in volta definito criptoportico o ninfeo, riccamente decorato, scavato a più riprese ma sempre in modo parziale. Leggiamo nei rapporti:

«…attirò maggiormente la nostra attenzione una fontana comparsa in prossimità delle descritte rovine, consistente in un muro con nicchie nel mezzo, decorato da pilastri e riquadrature, festoni, quadretti figuranti geni alati su bighe o cavalcando mostri marini, fasci di musaici e conchiglie, oltre a quattro scalette marmoree, per le quali l’acqua discendeva in un sottoposto bacino»22 (fig. 3).


3. Cromolitografia della parete nord-est del «ninfeo» (da BCom, v, 1877).

«Nella via Nazionale, e propriamente tra l’orto Mercurelli e la via Mazzarino, sotto il palazzo Rospigliosi, continuò la scoperta di quella località che poté qualificarsi per criptoportico appartenuto a ricca abitazione. Rimesso in luce il lato meridionale di esso, comparve l’ordine medesimo delle decorazioni con altra fontana avente la scaletta marmorea per la discesa delle acque, ed i quadretti laterali di musaico (…). Si scopri in quelle vicinanze una fistula acquaria, con l’epigrafe T Avidi Qviet… e XX nell’opposto lato. Rimpetto al descritto muro un altro ne sorgeva in linea esattamente parallela, con eguali ornati a musaico, che insieme al primo formava una specie di ambulacro, il cui termine resta ancora a determinare»23.

«Nello sterro del vicolo Mazzarino continuarono ad apparire gli avanzi del ninfeo de’ Claudi Claudiani, altra volta descritto»24.

«Presso il punto ove il vicolo Mazzarino interseca la via Nazionale, si è scoperto il proseguimento del ninfeo ornato di musaico descritto negli antecedenti rapporti. Nell’ultimo compartimento della parete nord del ninfeo o criptoportico, è tornata in luce una targa di mosaico policromo esprimente una quadriga in corsa, sui margini della quale è scritto: Phoenix/Ingenuo»25.

«Costruendosi una nuova ala del palazzo Rospigliosi Pallavicini sull’angolo delle vie Mazzarino e Nazionale, è stata scoperta la prosecuzione del ninfeo di stile imitante l’egizio, della casa di Avidio Quieto. Quest’ultimo tratto si distingue dagli altri in quanto che lo spazio della parete del ninfeo che divide le due ultime fontane, in luogo di essere semplicemente p.73 rivestito di pomici, con targa a mosaico nel centro, come si era verificato negli altri spazi, è ornato invece di una grande pittura a mosaico in colori, perfettamente conservata. La scena, alta m 1,90 larga m 2,12, rappresenta l’approdo di una nave nel porto»26.

Finalmente la notizia del ritrovamento del mosaico che, come dice una nota nel Bullettino Comunale dello stesso anno, fu donato dal principe Pallavicini al Comune di Roma (fig. 4).


4. Mosaico con scena di porto. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo).

Il criptoportico era perciò composto da due corridoi perpendicolari tra loro, con un muro interno addossato al declivio del colle e quindi a scarpata, alto quasi cinque metri ed un muro esterno movimentato forse da pilastri posti a distanza regolare e segnati in pianta nel solo braccio con andamento est-ovest. Nicchie semicircolari, distanziate da intervalli irregolari, vengono invece indicate lungo il muro interno: la parte inferiore di questa parete era rivestita fino a m 1,20 da lastre di marmo bianco, al di sopra delle quali era ricavato un canaletto di raccolta per l’acqua che, scendendo dall’alto, scorreva su fontanine a scaletta, formate da lastrine di marmo bianco sovrapposte e inclinate. La parte superiore della parete era scandita da lesene a mosaico (che inquadravano del resto anche le fontanine a scaletta), completate in alto da un capitello composito e decorate con scanalature e serti di fiori su fondo blu. I riquadri determinati dalle finte lesene avevano il fondo trattato a pomice e stucco ed una ricca decorazione formata da festoni nella parte superiore, fiori su un lungo stelo in quella inferiore e quadretti a mosaico al centro. Una fascia modanata, aggettante, a mosaico rosso e nero inframmezzato da conchiglie, chiudeva in alto il prospetto.

Alla descrizione tanto particolareggiata che si legge nei Rapporti di Scavo e nel Bullettino Comunale, corrispondono la tavola a colori inserita nello stesso articolo del Bullettino e un acquerello di Vincenzo Marchi conservato al Museo di Roma, che illustra una fase dello scavo in via Nazionale (fig. 5).


5. V. Marchi. La parete del «ninfeo» durante lo scavo, acquerello. Museo di Roma (foto Museo).

p.74 Affiancati al braccio orientale del criptoportico furono scoperti alcuni ambienti che però non sembrano in comunicazione: in una di queste stanze Lanciani segnala due elementi modanati affiancati e simmetrici che sembrano vasche forse di una fontana27.

Alla ripresa degli scavi nel 190128 viene messo in luce un ulteriore tratto di criptoportico, in continuazione di quello già conosciuto, comprendente due scomparti rettilinei con la consueta decorazione a pomice e mosaico, separati da uno curvilineo successivamente chiuso da una tamponatura29. L’indicazione che la decorazione viene ritrovata «assai guasta» fa pensare che sia le comici che i quadretti non furono distaccati. Al di sotto di questa struttura, a m 4,50 dal piano di via Nazionale, viene poi messa in luce una stanza di m 4,50 × 4 con pavimento a mosaico bianco e tessere nere grandi a distanze regolari, le cui pareti presentavano tracce di intonaco dipinto «di buono stile, ma quasi totalmente evanite».

E molto probabile che ci sia una correlazione tra questi ritrovamenti dell’800 e quanto si va puntualizzando attraverso le indagini ai piani cantinati di palazzo Rospigliosi: oltre a strutture relative agli impianti di servizio delle terme costantiniane, sono stati infatti evidenziati resti di una domus, in un’area a nord di quella fin qui descritta. Anche queste strutture sono state riferite ad un criptoportico coperto da volta a botte, largo circa m 4 e riconoscibile per circa m 35, arieggiato da aperture a bocca di lupo poste a distanze regolari, al termine del quale (a nord) si apre un portico a pilastri collegati da piatta-bande decorate da concrezioni calcaree e comici di conchiglie. I due pilastri centrali risultano decorati con mosaici colorati e conchiglie; quelli esterni presentano intonaci dipinti; la volta a botte è pure decorata a mosaico. Una apertura coronata da un timpano (con ornamenti dello stesso tipo) mette in comunicazione il portico con un ulteriore ambiente che si dovrebbe sviluppare verso est, un corridoio coperto sempre da una volta a botte, identificato come uno dei bracci di un ampio quadriportico.

Effettivamente si può supporre che una domus di notevoli dimensioni, ma soprattutto molto articolata, si disponesse sul pendio del colle che guarda verso il Viminale, raccordata nei suoi corpi di fabbrica da corridoi, cortili e criptoportici, che oltre ad avere una funzione strutturale, collegavano i vari livelli attraverso passaggi coperti.

Non sembra quindi di potersi escludere che le strutture emerse durante gli scavi ottocenteschi p.75 e quelle indagate dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, possano essere pertinenti ad una stessa domus, tanto più considerando che il criptoportico, come riportato da Lanciani nella Forma Urbis, ha alle spalle il terrapieno e verso sud, a quota inferiore, il hasolato del vicus Longus, mentre il corridoio ed il quadriportico, a cui da ultimo si è fatto riferimento, posizionati più a nord, potrebbero essere ad una quota superiore sul declivio del colle. Un confronto tra quanto indicato nella Forma Urbis e i più recenti rilevamenti, evidenzia come i due nuclei siano tra loro compatibili e abbastanza in asse.

Tra i materiali rinvenuti durante lo scavo il mosaico è indubbiamente un reperto eccezionale per lo stato di conservazione, la tecnica di esecuzione e naturalmente per il soggetto30. Nella parte sinistra del pannello e nella zona p.76 inferiore sono rappresentate le strutture portuali, costituite dalla banchina con le profonde e massicce arcate di sostruzione e le bitte per l’ormeggio delle navi, poste ad intervalli regolari sul marcapiano del molo, e raccordata mediante una breve scala (in cui la pedata dei gradini è resa con due file di tessere blu per renderne la profondità) all’edificio del faro che con la sua mole occupa tutto il lato sinistro (fig. 6).


6. Mosaico con scena di porto, particolare del faro. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo).

La torre del faro, la cui muratura isodoma è indicata da ricorsi di tessere marroni sul fondo bianco, si articola in tre parti sovrapposte re-stringentisi verso l’alto. Dal basso si possono distinguere una piattaforma a pianta presumibilmente quadrilatera, un’alta torre intermedia di forma poligonale ed una torretta cilindrica coperta da un tetto conico su cui insiste una statua.

La struttura inferiore presenta a destra una stretta apertura che sembra suggerire la presenza di un porticato: la muratura isodoma infatti si interrompe mentre il piano di calpestio superiore si prolunga fino ad un pilastro a sua volta poggiato sul marcapiano del molo. Che non si debba individuare in questo spazio aperto una semplice porta è confermato dal confronto con quella posta invece alla base della torre poligonale, con stipiti e architrave ben evidenziati.

La tessitura in diagonale ed il colore più carico delle tessere disposte sul fondo, che suggeriscono una resa prospettica dei blocchi che compongono la muratura del secondo nucleo, rendono palese l’intenzione del mosaicista che ha voluto evidentemente raffigurare un elemento particolare, caratterizzante la struttura archi tettonica e non una semplice torretta. Sull’attico di questo piano intermedio è collocata una serie di elementi sinuosi illustrati con tessere di colore marrone e giallo.

Infine il terzo nucleo si compone di una struttura cilindrica sulla cui copertura, a cono, è posta una statua raffigurante un personaggio maschile nudo e gradiente verso destra, che accosta al fianco sinistro una lunga asta mentre sullo stesso avambraccio ripiega il panneggio del mantello; la destra è protesa in avanti ed è ipotizzabile che nella mano recasse un altro attributo, ma la lacuna che interessa il settore marginale del mosaico ne impedisce la lettura.

L’identificazione della statua e degli elementi posti sulla terrazza del secondo nucleo della costruzione, sono da mettere in relazione con l’identificazione dello stesso faro — che certamente fa riferimento ad uno dei porti più famosi dell’antichità — ed è pertanto soggetta a diversa interpretazione. Nel dibattito apertosi tra gli studiosi che si sono occupati, in verità marginalmente, del mosaico capitolino, escludendo l’ipotesi di una rappresentazione equivalente all’iconografia simbolica di Faro31 per la p.77 ricercatezza e la ricchezza di dettagli dell’impianto musivo32, ed anche la rappresentazione di un porto immaginario, rimangono aperte le due ipotesi che possa riferirsi al Portus Ostiensis o a quello alessandrino33, il cui faro era considerato una delle sette meraviglie del mondo antico34. Ma mentre per il faro ostiense esiste una documentazione iconografica ampia e abbastanza omogenea, per quello alessandrino si devono tenere in conto le sole ipotesi di ricostruzione. Cosi nel mosaico capitolino la decorazione dell’attico della torre poligonale, in cui si leggono forme irregolari e sinuose, non sembra tanto indicare la presenza dei fuochi di avvistamento accesi sul punto più alto e visibile del faro35, quanto l’accenno ai Tritoni dai lunghi corpi p.78 serpentiformi che costituivano uno degli elementi più caratteristici del faro di Alessandria36. Del resto la non immediata comprensione del motivo può essere giustificata dalla difficoltà di rappresentare di scorcio, sui quattro angoli della struttura, figure piuttosto complesse che forse non erano cosi note o familiari al mosaicista. D’altra parte è anche evidente l’intenzione dell’artigiano di dare una visione dal basso verso l’alto della scena, motivo per il quale le due parti superiori sovrapposte del faro sono di dimensioni minori rispetto alla parte più bassa della costruzione.

L’assimilazione con il faro alessandrino sembra la più verosimile dal momento che la struttura rappresentata nel mosaico trova corrispondenze più puntuali con la torre di Sostratos che con il faro ostiense: al di là della considerazione che entrambi fossero costruiti in opera quadrata, il suggerimento del numero dei piani37, la scala di accesso38 e soprattutto la parte intermedia poligonale39 sembrano un p.79 chiaro riferimento al faro alessandrino (fig, 8). Inoltre le raffigurazioni del faro ostiense40 suggeriscono generalmente che sul nucleo terminale di forma circolare venivano accesi i fuochi di avvistamento41, mentre è probabile che sulla terrazza del penultimo piano fosse collocata una statua42. Per il faro alessandrino si parla di un piano superiore costituito presumibilmente da un’edicola colonnata (attraverso la quale sarebbero stati visibili i fuochi), forse conclusa da una copertura in piano come base per la statua43.

Sull’attico del secondo basamento erano posti quei Tritoni in bronzo che permettevano ai naviganti di riconoscere, anche in caso di nebbia, la localizzazione del porto per il rumore emesso con il vapore dalle lunghe trombe di cui erano muniti i mostri44. Incerta rimane la definizione e la disposizione dei moli, comunque non dissimile da quella dei bracci del porto ostiense, p.80 aperti sul bacino con una serie di profonde arcate da un lato e con strutture di servizio nella parte interna.

Le parti più significative della torre di Sostrato, cioè la struttura poligonale con i Tritoni e quella terminale cilindrica con la statua sulla sommità, sono rappresentate nel nostro mosaico in modo tale che l’identificazione potesse risultare immediata, come del resto avviene anche in quei casi in cui l’estrema semplificazione del motivo, generalmente dovuta alle dimensioni ridotte del campo decorativo45, necessita di uno o più elementi guida per una lettura immediata della rappresentazione.

Quanto alla statua, che doveva coronare entrambi i fari come indicano le ricostruzioni proposte sulla base delle fonti letterarie e della documentazione iconografica, la lacuna nel mosaico capitolino non consente di identificare con chiarezza il personaggio; tuttavia se ne può proporre l’assimilazione con Poseidone, di un tipo ben noto e collegato specialmente con i porti46, nudo e barbato, con il tridente nella sinistra e il delfino o uno scettro o un remo nella destra. La stessa divinità era rappresentata ad Ostia mentre, per il faro di Alessandria, se pure si sono fatte diverse ipotesi47, il personaggio rappresentato doveva avere una simile iconografia.

La posizione della statua, la presenza del portico aperto verso mare e il tipo di attività che svolgono i marinai, suggeriscono che l’imboccatura del porto sta sulla destra del mosaico e che la nave sta salpando con il vento di terra che investe la vela da poppa (fig. 7). Alla manovra presiedono cinque uomini impegnati al timone e alle vele. A poppa l’elemento più caratteristico, l’aplustre, che rientra sensibilmente verso l’interno e serve da riparo al timoniere, è raffigurato come un animale dal lungo collo ricurvo, ben identificabile con un cigno48. Protetta dall’aplustre è la cabina poppiera costituita da una tenda poggiata su quattro piedritti: tra queste due strutture è il timoniere, come di consueto un uomo anziano49 (in questo caso sembra avere una corta barba bianca), vestito di tunica esomide e rappresentato seduto mentre regge la barra che collega i timoni poppieri appoggiati alla struttura sporgente dall’opera morta della nave, raccordata alla murata. Lo scafo è infatti percorso da due «cinte» legate tra loro da puntelli; nella parte terminale verso poppa, le due «cinte», riunite da una paratia, non seguono più la curvatura dello scafo ma formano una sorta di ala attraverso la quale passa il fusto del timone, come nella nave del bassorilievo di Naevolia Tyche di Pompei50.


7. Mosaico con scena di porto, particolare della nave. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo).

Un secondo marinaio è alle spalle del gubernator, veste anche lui la tunichetta esomide ma è in piedi, forse nell’atto di seguire la manovra da poppa: qui è posizionata sulla piattaforma una cassa, mentre all’estremità è collocato un pennoncino con vessillo bianco; un altro albe-retto, pure con vessillo bianco sfrangiato e legato con nastri, è posizionato a fianco del timoniere.

Un terzo marinaio si può riconoscere nella figura a mezzo busto posta all’interno del cassero p.81 e descritta con pochi tratti: potrebbe essere un aiuto timoniere. Il quarto uomo è seminascosto dalla grande vela quadra, l’acatium, invergata al pennone dell’albero maestro, fissato dagli stragli a poppavia e dalle sartie alle murate51. La vela, investita dal vento, è resa in bianco con il reticolo regolare, a tessere marroni, delle bende, dei ferzi e degli imbrogli: il suo gonfiarsi è efficacemente reso da tanti segmenti lunettati e dal profilo ricurvo degli orli52. Dinanzi ad essa il quinto marinaio è impegnato forse nella manovra di alare gli imbrogli, se si può riconoscere nel cavalletto che ha davanti e sul quale poggia le mani, il verricello con le pulegge che doveva manovrare i tiranti della vela53. Si distinguono due cime che scendono ai lati del cavalletto.

Quest’ultimo marinaio è raffigurato in piedi e vestito come i compagni. Tutti i personaggi rappresentati sono silhouettes rese assai efficacemente con pochi tratti che ne rendono il vivace affaccendarsi ai propri compiti, ma che non trascurano le lumeggiature per dare particolare risalto alle carnagioni abbronzate.

L’opera morta che fuoriesce dalla linea di galleggiamento è rivestita di un fasciame di superficie evidentemente lavorato, dipinto in rosso, blu e giallo e, in alcune parti, rivestito di placche di bronzo, come sembra esemplificare il tritone dal lungo corpo serpentiforme che manda vividi riflessi, inserito nella murata in corrispondenza della linea del ponte e immediatamente al di sopra della linea di galleggiamento.

Un’elegante battagliola con motivo a cancello, forse di legno dorato, chiude il corpo della murata, mentre una piccola imbarcazione, tipo p.82 scialuppa di salvataggio, è legata con la gomena al parapetto e viene trascinata a poppa54.

L’imbarcazione raffigurata nel mosaico capitolino risulta senza dubbio una nave mercantile o da diporto, nonostante la mancanza della parte prodiera che potrebbe fornire ulteriori particolari55: la forma, la velatura e gli elementi decorativi trovano puntuali riscontri intanto nei mosaici delle stationes ostiensi56, seppure più semplificati e con altri tappeti musivi per lo più di ambiente africano o microasiatico ben più complessi57, ma soprattutto con il rilievo Torlonia58 (fig. 9). Tra le due rappresentazioni si istituisce un confronto serrato che dà la misura dell’accuratezza dell’opera, nell’un caso e nell’altro, evidentemente creata su precise indicazioni della committenza.


9. Rilievo con scena di porto. Collezione Torlonia (da Santa Maria Scrinari).

Oltre infatti alla tipologia della nave, il confronto si estende a tanti particolari decorativi che costituiscono un forte presupposto per immaginare una precisa scelta della committenza e la preparazione del modello o del cartone da parte di un artigiano (marmorario e mosaicista) di grande abilità.

Alla ripresa di schemi noti ormai semplificati, alla ripetitività del motivo come appare trattato su mosaici e sarcofagi59, alla sua logica abbreviazione su oggetti pertinenti all’instrumentum domesticum60, fa riscontro, nei due monumenti, una descrizione molto puntuale ed una ricercatezza di particolari quale poteva solo derivare dall’importanza del manufatto, dalla sua destinazione e molto probabilmente dalla sua realizzazione da parte di un artigiano di grande capacità. Ad un più generico significato attribuibile al faro e al porto61, si dovranno sostituire allora altre motivazioni (a carattere celebrativo?) che esulano quindi da una iconografia che sottende una allegoria o un messaggio simbolico.

Sicuramente l’ampiezza del pannello e la raffinatezza del programma decorativo presuppongono una scelta tematica precisa, per di più p.83 ribadita dalla sistemazione del mosaico come punto focale della struttura architettonica, e sottolineata anche dalla scelta dei materiali impiegati nella costruzione dell’immagine. Le tessere sono per lo più in pasta vitrea, ad eccezione di rocce basaltiche e calcaree e marmi per alcuni toni scuri o tendenti al bianco. Particolarmente brillanti risultano i blu e i verdi — da quelli più cupi al turchese — e gli ocra che vengono infatti utilizzati per quei particolari che potevano essere in bronzo.

La tessitura di un quadro cosi articolato non poteva essere regolare: le tessere seguono per lo più il disegno, disponendosi in filari orizzontali e diagonali solo per campire più ampie superfici. Cosi avviene ad esempio per la descrizione del mare che segue una trama orizzontale o per il cielo in cui sono impiegati blu più scuri e brillanti, con un andamento tendenzialmente verticale. Molto regolare risulta la disposizione delle tessere nella rappresentazione delle murature, mentre per rendere il movimento della grande vela si ricorre ad un ordito semicircolare e a file oblique parallele, interrotte da semicerchi, o ancora ad una disposizione apparentemente irregolare, per renderne il volume.

Una cornice di conchiglie rotonde e scannellate (del tipo cardium edule) racchiudeva il mosaico: la zona superiore con le impronte delle conchiglie, molto lacunosa, è stata rimossa durante il restauro62.


10. Pannello in mosaico con quadriga. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo).

La stessa campionatura di paste vitree si ritrova nei pannelli che dovevano essere collocati nelle nicchie del muro interno del criptoportico, delimitate dalle lesene. Alla descrizione di più quadretti a mosaico con geni alati su bighe o cavalcanti mostri marini, fanno riscontro, nelle collezioni dell’Antiquarium, due pannelli, uno dei quali riquadrato da una fila di tessere bianche, in cui viene rappresentato un tiro a p.84 quattro verso destra63 (fig. 10): i cavalli sono al galoppo, con le zampe anteriori simmetricamente sollevate; lungo il margine superiore del quadro e sotto, all’altezza delle zampe dei cavalli, corre l’iscrizione a lettere composte con tessere bianche, riferibile evidentemente ai nomi dell’auriga e del cavallo. Nel secondo una biga tirata da ippocampi è guidata da un essere fantastico (fig. 11).


11. Pannello in mosaico con biga. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo).

La lavorazione di questo pannello risulta molto più corrente rispetto al grande affresco con la nave e si può collocare in una produzione standardizzata, affidata ad una bottega o a maestranze che lavoravano su cartoni piuttosto diffusi, come si evince dalla stessa impostazione del carro, di scorcio, con gli animali rigorosamente allineati64. Anche l’iscrizione, purtroppo assai lacunosa, non è esente da questa resa alquanto sciatta.

Se, sulla base dei confronti, appare abbastanza motivata la proposta di datare questo pannello alla fine del IIinizi III secolo, qualche motivazione in più deve essere addotta per il grande quadro con la nave per il quale alcuni studiosi, ancora recentemente, propongono una datazione in età flavia65 o antonina66.

Marion Blake alle cui considerazioni si rifanno anche autori più recenti, impostava una datazione in età flavia sulla base del ritrovamento di bolli laterizi delle figlinae Tonneianae, in opera nella cornice del ninfeo, rammaricandosi tuttavia che nelle sostruzioni del medesimo si fossero trovati bolli di età antonina67. Se l’impiego di tegole di età domizianea può essere giustificato evidentemente con un riuso di materiali, anche la proposta di datare il mosaico nella prima metà del il secolo suscita qualche perplessità non solo per l’impianto stilistico (che tuttavia potrebbe rimanere un argomento soggettivo), ma soprattutto per ragioni tecniche relative sia al pannello musivo che alle strutture architettoniche per le quali si deve ipotizzare un intervento di restauro se non di ampliamento tra la seconda metà del li secolo e gli inizi del III, ad opera di quel Claudius Claudianus a cui vanno attribuite le fistule acquarie68 rinvenute nel braccio del criptoportico con andamento est-ovest (fig. 12).


12. Fistula acquaria di Cl. Claudianus. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo).

Che una vasta area sulla pendice del colle fosse di proprietà dei Claudii Claudiani può essere confermato dal fatto che si rinvenne sempre nella zona, in scavi non meglio documentati un architrave marmoreo69 con l’iscrizione: Balineum Claudianum (fig. 13) e che pur segnalando nella FUR i ritrovamenti attribuiti ai Claudiani e ad Avidio Quieto rispettivamente nei due bracci del criptoportico, in altra sede70 Lanciani stesso afferma: «A volte io stesso ho scoperto quattro diversi edifici uno sull’altro (…). Quando via Nazionale venne aperta nel 1877 attraverso i giardini Rospigliosi e Aldobrandini sul Quirinale, trovammo prima i resti delle terme di Costantino; poi i resti della domus di Claudio Claudiano, poi, ancora, un’altra domus, questa volta di Avidio Quieto, infine diverse costruzioni con il più antico sistema dell’opus reticulatum», ove sembra di leggere nelle parole dello studioso una precisa stratigrafia dello scavo.


13. Architrave con iscrizione. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo).

Del resto la circostanza che si rinvennero, sempre nell’800, sull’Esquilino, tavole di p.85 patronato in bronzo con la dedica ad Avidio Quieto71 e ancora fistule con il suo nome nella proprietà Torlonia alla Caffarella72, sembra indicare che tale personaggio avesse più di una proprietà e in quel caso sarebbe più logico pensare che la residenza fosse quella dell’Esquilino dove si rinvennero le tavole. Si può supporre allora che la proprietà del Quirinale venne acquistata o comunque passò ai Claudiani, ma vi rimasero le conduzioni d’acqua che al momento della scoperta crearono qualche confusione nell’attribuzione della proprietà stessa.

Dallo stesso mosaico vengono poi suggerimenti per impostarne una datazione più tarda: le tessere sono di dimensioni piuttosto grandi e utilizzano toni pastosi e densi, con un effetto ben diverso dalla presentazione dell’immagine nei mosaici parietali di I secolo dei ninfei delle ville vesuviane73.

La realizzazione dell’impianto musivo è qui affidata ad accostamenti di chiari e scuri contrapposti; si supera la concezione disegnativa con la realizzazione di prospettive, scorci e spunti tramite variazioni di colore e luminosità diversa, anche là dove si delineano fondamentalmente valori plastici. Mi riferisco in particolare alle strutture del faro e del molo in cui l’impostazione delle linee architettoniche non definisce un preciso impianto monumentale che risponda ad esigenze di prospettiva, ma si suggerisce un effetto finale che si perde in una visione d’insieme particolarmente vibrante. Non da ultimo è da considerare rimpianto scenografico del mosaico ben diverso dalla produzione più corrente, anche se ampie superfici pavimentali vengono ricoperte, a partire proprio dall’età antonina, con scene piuttosto complesse ma generalmente a tessere bianche e nere e con tematiche mitologiche74. Per quello che riguarda poi i mosaici parietali è sicuramente evidente la differenza di impostazione e di realizzazione del mosaico del porto da quelli parietali trovati, sempre sul Quirinale, sotto la Caserma dei Corazzieri o da quelli sempre parietali da una domus sotto gli Horti Farnesiani sul Palatino. Nonostante l’ampiezza delle superfici decorate a mosaico, il risultato è molto diverso: architetture e minute campiture ornamentali inquadrano scene e personaggi con un effetto finale che si avvicina alla contemporanea tecnica pittorica di I secolo d. C.75. Semmai è in Africa che si possono trovare termini per un confronto, considerando però che si tratta di mosaici pavimentali e comunque di una produzione generalmente più tarda76: le analogie si limitano in effetti all’impianto scenografico, alla ricerca di schemi non p.86 comuni, a una grande libertà compositiva, trovando tangenze solo marginali nella resa stilistica.

Si incontrano invece gli stessi accorgimenti stilistici nelle esperienze pittoriche della tarda età antonina-inizi dell’età severiana e, più che nel confronto con la produzione musiva, si potrà trovare in quella pittorica coeva una relazione con quelle forme essenziali, quell’accostamento diretto di chiari e di scuri, quella maniera «compendiaria» che, se tende a far perdere alle figure del mosaico capitolino una solidità strutturale, la compensa con una forte intensità espressiva.

Nel mosaico capitolino, che pure conserva di fondo la tradizione ellenistica della pittura di paesaggio77, si possono ritrovare le caratterizzazioni delle figure del mitreo sotto S. Prisca78 o di quelle della Caupona del Pavone ad Ostia79, con la stessa impostazione coloristica, un simile tratteggio impressionistico, un modo di «dipingere», anche con il marmo, per contrapposizione di colori.

La funzione del criptoportico di passeggiata coperta e di collegamento tra i vari nuclei di cui era composta la proprietà, posti evidentemente nell’ambito di un giardino, subordinata a quella strutturale ma non meno importante, è sottolineata dalla ricchezza dell’arredo architettonico80. La partizione dei muri in nicchie decorate sul fondo da pomici con pannelli centrali in mosaico, la scansione determinata dalle lesene in stucco, la presenza delle fontanine a scaletta per giochi d’acqua, creavano evidentemente un suggestivo gioco di luci ed un’impressione di raffinata eleganza. Il culmine di questo programma decorativo doveva essere rappresentato dal grande pannello in mosaico con la nave, posto o al termine di uno dei bracci del criptoportico o al centro della parete a monte, come sembrerebbero indicare le relazioni di scavo.

Del resto questa ipotesi si accorda perfettamente con quelle immagini di lusso e di magnificenza che attraverso le fonti e i ritrovamenti possiamo ricostruire della città antica81. Se per quello che riguarda Roma la documentazione archeologica, per le stratificazioni della città, si presenta lacunosa e slabbrata, una pallida eco del lusso e della rappresentatività politica e sociale del proprietario di una casa ci viene offerta dalle città vesuviane. Molto è stato scritto82 a questo proposito e relativamente alla codificazione di un impianto strutturale che risponda alle esigenze di esibire il proprio status, fenomeno che darà luogo, a Roma nella piena età imperiale, alla diffusione degli horti, con un recupero dello spazio dedicato all’otium e alla vita contemplativa83.

La mancanza di aree disponibili nel centro cittadino, il costo elevatissimo dei terreni84 e, non da ultimo, la stessa conformazione orografica della città, furono probabilmente all’origine di soluzioni strutturali che, senza rinunciare all’impatto scenografico, potevano superare le difficoltà tecniche: in presenza di aree limitata-mente estese su terreni in declivio, la soluzione del criptoportico si rende necessaria per consentire il passaggio interno da una zona all’altra su livelli diversi85. E tale struttura di collegamento finisce per diventare un elemento di rappresentanza e una dimostrazione delle potenzialità economiche e sociali del proprietario dell’area86.

Il grande corridoio diviene cosi uno degli ambienti funzionali della casa, zona protetta di conversazione o deambulazione, galleria di opere d’arte87.


14. Statua di efebo. Roma, Musei Capitolini (foto Musei).

Anche dallo scavo sotto palazzo Rospigliosi provengono materiali di arredo, purtroppo non sempre attribuibili con certezza alla domus di Claudiano, viste le stratificazioni in quell’area, p.87 né sicuramente pertinenti al criptoportico, ma significativi comunque di una scelta che poteva appartenere al proprietario di una cosi ricca dimora. Nell’ambito appunto del criptoportico di una domus di lusso potevano essere collocate la statua di efebo con balteo che attraversa il petto88 (fig. 14) o l’erma di filosofo89 (fig. 15) o quella di Eracle con la corona di pioppo90 (fig. 16). In un ambiente di verde e d’acque, quale viene ricreato sulle pareti dalla decorazione musiva e a stucco che abbiamo già visto, potevano ben inquadrarsi come elementi di arredo di uno spazio-deambulazione a diretto contatto con un giardino la bellissima vasca di fontana a forma di tazza baccellata con anse su cui sono delineati strumenti per il sacrificio91 (fig. 17) o il rython con il corpo ferino nascente da un cespo di acanto e cavalcato da un amorino92 (fig. 18) o ancora il rilievo con l’amorino addormentato sulla pelle ferina con in mano la face93.


15. Erma di filosofo. Roma, Musei Capitolini (foto Musei).

16. Erma di Bacco. Roma, Musei Capitolini (foto Musei).

17. Tazza di fontana. Roma, Musei Capitolini (foto Musei).

18. Rython. Roma, Musei Capitolini (foto Musei).

Alle opere citate, sicuramente attribuibili allo scavo del criptoportico, si affiancano una serie di notizie relative ad altri materiali che però per tipologia e datazione possono essere stati riutilizzati quando venne costruito l’impianto termale costantiniano94.

Quest’ultimo, eretto alla fine del III secolo, obliterò i resti delle strutture più antiche, solo in parte servendosene come zona di servizio dell’edificio termale. Del resto la presenza nella proprietà dei Claudiani di una terma privata, testimoniata dal rinvenimento dell’architrave, potrebbe essere stato uno dei motivi che determinarono la decisione di Costantino di erigere proprio in quell’area le terme, con una motivazione in più: Rodriguez Almeida95, esaminando la possibile localizzazione sul Quirinale delle thermulae Etrusci, ricordate da Marziale e da Stazio96, fa riferimento proprio all’epistilio con iscrizione dell’Antiquarium per suggerire l’identificazione di quelle con il Balineum p.88 Claudianum e per formulare l’ipotesi che le terme costantiniane rappresentino la monumentalizzazione di quel precedente impianto termale. Lo stesso studioso si chiede poi se mai Claudio il il Gotico non possa essere stato l’ultimo di quei Claudii a cui appartenevano le terme (e, a questo punto, tutta la proprietà), passate in eredità a Costantino che si vantava di essere discendente di quell’imperatore.

Se tutte queste sono congetture che non possono avere una verifica nei fatti, perché allora non pensare che il clarissimus vir Claudius Claudianus, proprietario di una splendida casa sul Quirinale, non avesse commissionato il mosaico con la nave e la rappresentazione del faro di Alessandria, lui che era di origine africana, come testimonianza delle sue origini e forse anche di un avvenimento particolarmente importante che lo aveva portato ad attraversare il Mediterraneo?

Carla Salvetti
1V. Di Gioia, La modificazione dei colli classici dal Rinascimento al Medioevo, in C. Pietrangeli, V. Di Gioia, M. Valori, L. Quaglia, Il nodo di S. Bernardo. Una struttura urbana tra il centro antico e la Roma moderna, Milano 1977, in particolare p. 69 ss.

2S. Pasquarelli, Via Nazionale. Le vicende urbanistiche e la sua architettura, in Roma Capitale 1870—1911. Architettura e Urbanistica. Uso e trasformazione della città storica, Venezia 1984, pp. 295—324.

3Basti pensare al taglio della sella che univa il Quirinale al Campidoglio, per la realizzazione dei Mercati e del Foro di Traiano, o alla piattaforma creata per il Castro Pretorio (cfr. G. De Angelis D’Ossat, L’antica topografia del colle Quirinale, in BCom, LXVI, 1938, p. 5 ss.).

4Il nodo di S. Bernardo, cit. a nota 1, p. 112; resti di queste tipologie abitative sono stati individuati proprio nell’area di palazzo Rospigliosi.

5«La Giunta Municipale di Roma, nel congresso del giorno 24 maggio 1872, secondo il voto già espresso dal Consiglio nella seduta del 24 aprile, istituiva una Commissione Archeologica, cui fosse trasmesso l’esercizio dei diritti e dei doveri, che al Comune di Roma incombono verso i monumenti della città e del suo territorio. Il campo aperto alla attività della nuova Commissione era altrettanto vasto, quanto importante: poiché il Comune nelle convenzioni stipulate con le varie Società edificatrici de’ nuovi quartieri, essendosi riservato ove la assoluta ove la parziale proprietà degli antichi monumenti, ove la semplice sorveglianza delle scoperte, conveniva provvedere ugualmente al disegno delle icnografie degli edifici; alla loro conservazione, qualora ne fossero giudicati degni; al trasporto ed al collocamento ne’ Palazzi Capitolini degli antichi oggetti estratti dalle escavazioni; all’ampliamento dei Musei (…)». Prefazione al Bullettino della Commissione Archeologica Municipale di Roma, novembre 1872.

6Pasquarelli, art. cit. a nota 2 e anche: L. De Simoni, Roma Capitale. I primi anni di vita, Roma 1975, p. 91 ss.

7BCom, XXIX, 1901, pp. 129—134.

8Degli interventi si ha un primo cenno in: BCom, XC, 1, 1985, pp. 77—78; S. Vilucchi, Terme di Costantino, in Roma. Archeologia nel Centro, II, Roma 1985, pp. 357—359; una relazione più dettagliata in: S. Vilucchi, Le Terme di Costantino sul Quirinale e gli edifici privati di età precedente, in BCom, XCI, 2, 1986, pp. 350—355.

9R. Lanciani, Forma Urbis Romae, Roma 1990 (ed. anast.), tavv. 16, 22.

10Vilucchi, Le Terme di Costantino sul Quirinale, cit. a nota 8, p. 357 s.

11L’area, occupata nel Medio Evo da chiesette e abitazioni tra cui quella di Pomponio Leto (cfr. R. Lanciani, Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità, I, Roma 1989, p. 184; Codice Vat. Lat. 13035, f. 164 v) fu acquistata nel XVII secolo dal cardinale Scipione Borghese; il palazzo, fatto erigere su progetto di Flaminio Ponzio e Carlo Maderno, passò nel 1708 ai Rospigliosi Pallavicini (L. Lotti, Palazzo Pallavicini e i suoi proprietari, Roma 1978).

12Lanciani, Storia degli scavi, cit. a nota 11, III, Roma 1990, p. 213, riporta un passo dell’Aldovrandi (Mem. 6): «Nel Quirinale non molto lungi dalle terme di Costantino, dalla parte che è volta alla punta del Viminale, è stata ai di nostri ritrovata una cappella che per li pesci e le conchiglie dipintevi si è creduto che fosse di Nettuno». Ancora dove era stata la casa di Pomponio, furono trovati «gli elogi latini e greci del poeta Claudiano e dei Claudi Claudiani in genere» (Lanciani, op. cit. a nota 11, I, Roma 1989, p. 148). La famiglia Rospigliosi Pallavicini infine donava nel 1923 al Museo Nazionale Romano otto quadretti ed uno stucco trovati nel 1718 costruendosi una nuova ala del palazzo (G. Bendinelli, Le antiche pitture Rospigliosi Pallavicini del Museo Nazionale Romano, in BdA, V, 1925, p. 147 ss.).

13Aur. Vict., de Caes., 40, 26—27.

14Curiosum (R. Valentini, G. Zucchetti, Codice topografico della città di Roma, I, Roma 1940, p. 107): Regio VI. Alta Semita: balnea XXV, lacos LXIII, pistrina XVI. Notitia (Valentini-Zucchetti, I, pp. 171—172): regio VI. Alta Semita continet: insulae IIICCCCIII, domos CXLVI, horrea XVIII, balinea LXXV, lacos LXXIII, pistrina XVI.

15M. Santangelo, Il Quirinale nell’antichità classica, in MemPontAc, V, 1941, p. 77 ss.

16R. Lanciani, Supplementi al volume VI del Corpus Inscriptionum Latinarum, in BCom, IX, 1881, in particolare pp. 16—17.

17Amm. Marc., Res gestae, xxvn, 3, 8.

18NSc, 1876, p. 55.

19Gli appunti di Lanciani (Codice Vat. Lat. 13035) confluiscono negli articoli che dà alle stampe per il Bullettino Comunale e per Notizie degli Scavi. Anche i dati del Registro dei Trovamenti vengono riversati in quegli articoli di Lanciani e di altri; in sostanza e tranne che per lievi varianti, le notizie appaiono le stesse.

20Rapporti di scavo redatti dagli Ispettori della Commissione e conservati nell’Archivio della X Ripartizione, Comune di Roma (RT).

21Notizie degli Scavi di Antichità, edite a cura del Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità e Belle Arti, 1876, pp. 55, 88; 1877, pp. 204, 267; 1878, p. 233.

22NSc, 1876, p. 55.

23NSc, 1876, p. 73.

24NSc, 1877, p. 205; un articolo più ampio compare sul BCom, V, 1877, pp. 59—65, tavv. I—II, III comprendenti una cromolitografia della parete NE, meglio conservata.

25NSc, 1877, p. 267.

26NSc, 1878, p. 91.

27Codice Vat. Lat. 13035, f. 209 r.

28Cfr. nota 6.

29Si può ipotizzare che queste tamponature fossero state eseguite all’epoca della costruzione delle Terme, come del resto è stato supposto a seguito dei recenti lavori sotto palazzo Rospigliosi, trovandosi di fronte a soluzioni analoghe.

30AC inv. n. 32360. Al momento del ritrovamento vengono fornite le stesse dimensioni del pannello: alt. cm 206, largh. cm 194; al completamento (se mai si può ipotizzare un’estensione maggiore del quadro comprendente la parte prodiera della nave) potrebbe mancare meno di un metro. Un intervento di restauro risale agli anni ‘60, quando il tessuto musivo fu allettato su una lastra di cemento, armato da tondini in ferro; vennero risarcite alcune lacune e furono eliminati i margini ormai con le sole impronte della cornice di conchiglie. Gran parte delle tessere sono di pasta vitrea: quelle blu e quasi tutte le tonalità di verde e di giallo; di pietra calcarea le tessere bianche. Si nota l’inserimento di numerose tessere di vetro incolore, dovuto presumibilmente al restauro. Generalmente di taglio irregolare, le tessere hanno dimensioni intorno al centimetro; solo nelle figure e nella struttura al centro della nave il disegno è composto con tessere più piccole, circa cm. 0, 5. Nella descrizione del mosaico, già esposto nella Galleria Superiore del Palazzo dei Conservatori, prima di essere trasferito nell’Antiquarium del Celio (H. Stuart Jones, A Catalogue of the Sculptures preserved in the Municipal Collections of Rome. The Sculptures of the Palazzo dei Conservatori, Oxford 1926, Gall. Sup. I, 1, pp. 268—270), si parla di un bordo giallo intrammezzato da elementi in faïence grigio-verde e di frammenti di una seconda cornice composta da ovoli e lancette bianchi su fondo scuro. Questa era a sua volta delimitata da una doppia fila di conchiglie del tipo cardium edule e murex brandaris.

31Non solo in epoca tardo imperiale e poi cristiana (G. Stuhlfauth, Das Schiff als symbol der altchristlichen Kunst, in RACr, 19, 1942, pp. 111—141; Temi di iconografia paleocristiana, a cura di F. Bisconti, Città del Vaticano 2000, s. v. faro (L. Gambassi)), ma anche in epoca precedente il faro è visto come approdo finale alla quiete dopo il tempestoso viaggio della vita, come viene esemplificato ad esempio dal mosaico della tomba dell’isola Sacra in cui è rappresentata la defunta sulla barca davanti al faro, accompagnata dall’iscrizione «ode pausilipon», modesta traslitterazione dal greco (G. Becatti, Scavi di Ostia, IV. Mosaici e pavimenti marmorei, Roma 1961, n. 43, tav. CLXXXIII).

32Per particolari omessi o trasformati cfr. le tavole elaborate da M. Reddé, La représentation des phares à l’époque romaine, in MEFRA, 91, 1979, pp. 848—854, con l’indicazione ad esempio della presenza o meno di aperture, numero di piani, forma dei blocchi: l’Autore sottolinea che alla stessa stregua della diffusione del paesaggio alessandrino, l’immagine del faro, con modifiche non sostanziali, si diffonde rapidamente, sollecitata forse anche da quei souvenirs che certamente esistevano anche nell’antichità e che contribuivano alla diffusione dell’immagine del monumento (ancora Reddé, pp. 862—863). Altro il discorso per i mosaici ostiensi: giustamente Becatti, op. cit. a nota 31, p. 347, parlando delle numerose rappresentazioni musive ostiensi del faro, sottolinea che «per questo motivo realistico di cui non c’era bisogno di cartoni ad Ostia, ma che ognuno poteva ripetere a memoria come un monumento familiare e sottocchio, è naturale che si abbiano varianti tipologiche, anzi possiamo dire che non esistono sui mosaici due fari eguali in tutti i dettagli».

33Identificano nel mosaico il faro alessandrino: A. Koester, Das antike Seewesen, Berlin 1923, p. 174, fig. 41; F. W. Von Bissing, rec. a: H. Tiersch, “Pharos”, 1929, in Berliner Philologische Wochenschrift, 30, 1910, col. 1635 ss.; P. M. Fraser, Ptolemaic Alexandria, II, Oxford 1972, p. 46, nota 99. Si tratta del faro di Porto per: G. Pijoan, El arte romano hasta la muerte de Diocleciano, in Summa artis, 5, 1934, p. 425; Ch. Picard, Sur quelques représentations nouvelles du Phare d’Alexandrie et sur l’origine alexandrine des paysages portuaires, in BCH, 76, 1952, p. 61 ss. Altri autori parlano di una rielaborazione di elementi presenti nell’uno e nell’altro: H. Tiersch, Pharos. Antike, Islam und Occident, Leipzig-Berlin 1909; Reddé, art. cit. a nota 32, p. 845 ss. Non si pronuncia sull’argomento M. H. Quet, Pharus, in MEFRA, 96, 1984, p. 789 ss.

34Fraser, op. cit. a nota 33, II, p. 44, nota 97 con bibliografia.

35Reddé, art. cit. a nota 32, p. 870; secondo l’Autore si ha nel mosaico capitolino una erronea o mal compresa riproduzione del Faro di Alessandria poiché il secondo blocco (ovvero quello terminale) è costituito da una struttura circolare chiusa in cui è difficile pensare che potessero bruciare i legni per l’illuminazione. E anche vero però che in ogni documento figurato viene omesso o alterato qualche particolare, come ricorda Io stesso Autore. In questo caso l’elemento cilindrico risulta abbreviato forse per evidenziare meglio la parte ottagonale; poteva del resto risultare piuttosto complicato per il mosaicista rappresentarvi anche un colonnato.

36I Tritoni sono un elemento talmente peculiare del Faro di Alessandria che, per quanto sia abbreviata o rimaneggiata la descrizione del monumento, tuttavia sono sempre presenti (cfr. Picard, art. cit. a nota 33, in part. p. 74). Anche nel vetro di Begram, l’identificazione del faro è suggerita proprio dalla presenza dei Tritoni (L. Castilione, Eine neuere Darstellung des Pahros und die Kultstatue des alexandrinischen Paneions, in ActaArchHung, XXIX, 1977, p. 351 ss.); Fraser, op. cit. a nota 33, II, pp. 47—48, nota 103.

37Anche se nelle varie raffigurazioni di fari si va da un minimo di 2 ad un massimo di 6 piani (Reddé, art. cit. a nota 32, pp. 848—854) per i fari con la statua al sommo, si rimane tra 2 e 4 piani e il nostro è l’unico a 3 piani. Nota ancora l’Autore che le rappresentazioni con la statua sono tutte di area orientale tranne il mosaico capitolino e rappresentano verosimilmente tutte il Faro di Alessandria.

38Picard, art. cit. a nota 33, p. 72 sottolinea che secondo i viaggiatori mussulmani, il faro di Alessandria aveva un’entrata monumentale dal lato sud raggiungibile con una scalinata. Del resto il mausoleo di Taposiris Magna ad Abousir (A. Adriani, Annuaire du Musée greco-romain, 1940—50, p. 133 ss.), monumento che probabilmente riproduce il faro alessandrino, si presenta con una forma incredibilmente simile alla torre rappresentata sul mosaico capitolino. Di più, una tarda rappresentazione musiva (529/533) di Djerash, nella chiesa di S. Giovanni Battista, pone accanto alla città di Alessandria (contraddistinta come tale dall’iscrizione a fianco) una torre ottagonale (il Faro) assimilabile con la struttura del mosaico dell’Antiquarium (F. M. Biebel, Mosaics, in Gerasa. City of Decapolis (a cura di C. H. Kraeling), New Haven 1938, pp. 297—340).


8. Il monumento di Abousir (da Adriani).
39Non mi sembra che ci possano essere dubbi sull’intenzione del mosaicista di aver voluto sottolineare la struttura poligonale attraverso l’unico accorgimento tecnico a lui possibile, quello delle tessere più scure e dell’inclinazione dei blocchi della muratura. Probabilmente sia Reddé, art. cit. a nota 32, p. 862 che parla di lacuna figurativa sui fari ottagonali come quelli di Douvres o Boulogne, sia Picard, art. cit. a nota 33, p. 81, per il quale nel mosaico capitolino manca la parte ottagonale e sono cambiate le proporzioni rispetto ad Alessandria, non hanno mai visto dal vero il mosaico e comunque neppure una buona riproduzione fotografica.

40G. Stuhlfauth, Der Leuchtturm von Ostia, in RM, 53, 1938, pp. 139—163; G. Lugli, G. Filibeck, Il Porto di Roma imperiale e l’agro portuense, Roma 1935; O. Testaguzza, Portus. Illustrazione dei porti di Claudio e di Traiano e della città di Porto a Fiumicino, Roma 1970; R. Meiggs, Roman Ostia, Oxford 1973.

41Reddé, art. cit. a nota 32, p. 847 ss. redige un elenco delle rappresentazioni di queste strutture, distinguendo i fari a blocchi sovrapposti con i fuochi sulla sommità e quelli che terminano con una statua.

42La costruzione a quattro piani — tre a pianta quadrata e uno cilindrico — recava sull’attico del penultimo piano una statua: Lugli, Filibeck, op. cit. a nota 40, p. 14, in particolare nota 37; G. Pavolini, Ostia, Roma 1983, p. 286 (Claudio o Nerone); Becatti, op. cit. a nota 31, p. 348, accoglie invece la versione secondo cui la statua (di Posidone) era collocata sulla sommità di una colonna all’imboccatura del porto.

43Già von Bissing, art. cit. a nota 33, aveva ipotizzato, in alternativa alla ricostruzione di Tiersch una base in piano per la statua. Da ultimo e con una visione più funzionale e realistica, Reddé, art. cit. a nota 32, p. 869, fig. 9, propone una ricostruzione dell’ultima parte del faro in forma circolare con colonnato e copertura in piano su cui poteva poggiare la statua; in tal modo sarebbero stati ben visibili i fuochi che bruciavano all’interno e la statua avrebbe avuto un solido appoggio.

44O altro meccanismo: cfr. Fraser, op. cit. a nota 33, II, pp. 47—48, nota 103.

45Come accade ad esempio nel vetro di Begram in cui sono i tritoni e la statua a dare l’immediata percezione del faro di Alessandria. La stessa cosa avviene in altri contesti ove anche un solo elemento viene eletto a cifra del messaggio. Non va però confuso l’elemento guida con la rappresentazione simbolica: nel nostro mosaico la torre rappresenta il faro alessandrino individuato dai tritoni e dalla struttura poligonale; nel caso invece ad esempio del sarcofago c. d. dell’Annona al Museo Nazionale Romano (Museo Nazionale Romano. Le sculture, a cura di A. Giuliano, I, 8, 1, Roma 1985, p. 46 ss., L. Musso) la figura femminile a sinistra con un faro in mano è la personificazione di Porto.

46Sull’iconografia e gli attributi della divinità: Becatti, op. cit. a nota 31, p. 25 ss. (Caseggiato del mosaico del porto, datato alla prima metà del III secolo): con il tridente nella mano sinistra alzata e un delfino nella destra, protesa. Nel mosaico capitolino inoltre, come nel rilievo Torlonia e nell’ara di Nettuno del Museo Capitolino (Stuart Jones, op. cit. a nota 30, stanza del Fauno 23 a, tav. 80, pp. 327—328) appoggia il mantello sulla spalla destra. Si confronti anche la statua trovata a Porto al Museo Vaticano Lateranense (Lugli, Filibeck, op. cit. a nota 40, fig. 6) e il Posidone del porto di Kenchreai (E. Walde-Psenner, Der bronzene Poseidon auf der Hafenmole von Kenchreai, in Bronzes hellénistiques et romaines. Tradition et renouveau, Lausanne 1979, pp. 61—64).

47Per Alessandria cfr.: Reddé, art. cit. a nota 32, pp. 868—870 e nota 47; Picard, art. cit. a nota 33, p. 70. L’identificazione della statua di Alessandria è piuttosto controversa: le varie teorie (Tolemeo Soter, Zeus Soter, Poseidon, Helios) sono riportate, con bibliografia da: D. Giorgetti, Il faro di Alessandria fra simbologia e realtà: dall’epigramma di Posidippo ai mosaici di Gasr Elbia, in RendLinc, s. VIII, 32, 1977, p. 245 ss.; per le monete: S. Handler, Architecture on the roman coins of Alexandria, in AJA, 75, 1971, pp. 57—74. Vedi inoltre F. Richard, Portus Augusti, in CH, 22, 1977, pp. 295—311. Giustamente Quet, art. cit. a nota 33, p. 809 ritiene che la statua sulla sommità del faro non possa essere la stessa cosa, né avere lo stesso valore semantico della rappresentazione di Pharus sul mosaico cosmologico di Merida: in questo caso la figura rappresenta il faro in senso assoluto.

48Per la ricostruzione e la nomenclatura relativa alle imbarcazioni antiche: A. Göttlicher, Die Schiffe der Antike. Eine Einführung in die Archäologie der Wasserfahrzeuge, Berlin 1985; Id., Materialen für ein Corpus der Schiffsmodelle in Altertum, Mainz 1978; L. Casson, Navi e marinai nell’antichità, Milano 1976; L. Basch, Le Musée imaginaire de la marine antique, Athenes 1987. Generalmente vengono distinte le navi che hanno la prua con il tagliamare appuntito e quelle con prua arrotondata e la poppa meno saliente, anche se Basch distingue sei tipologie di imbarcazioni da commercio. Tutti gli elementi descritti trovano precise corrispondenze nelle navi di Nemi (G. Uccelli, Le navi di Nemi, Roma 1956) e in quelle di Fiumicino (V. Santa Maria Scrinari, Le navi del porto di Claudio, Roma 1979; G. Boetto, Les navires de Fiumicino, in Ostia, port et porte de la Rome antique, catalogo della mostra, Genève 2001, pp. 121—129).

49Cfr. il mosaico della statio 51 del Piazzale delle Corporazioni ad Ostia (Becatti, op cit. a nota 31, n. 127, pp. 81—82).

50Basch, op. cit. a nota 48, p. 459.

51P. A. Gianfrotta, X. Nieto, P. Pomey, La navigation dans l’Antiquité, 1997.

52La mancanza della parte prodiera della nave non consente di stabilire il tipo di velatura: da quello che rimane del mosaico si ha un solo albero con la grande vela quadra, ma per una imbarcazione di cosi grandi dimensioni, si deve supporre un secondo albero di prua fortemente inclinato e con l’artemo, piccola vela quadrata che permetteva di migliorare l’equilibratura della nave e le manovre di cambio di rotta (Basch, op. cit. a nota 48, p. 471).

53Basch, op. cit. a nota 48, p. 461.

54La scialuppa ha l’aspetto di una barca da pesca, come vengono rappresentate in numerosi mosaici soprattutto africani: all’interno del piccolo scafo le due traverse su cui ci si poteva sedere.

55Ad una poppa saliente come nel nostro caso, dovrebbe corrispondere una prua dritta o concava per la presenza di un tagliamare a forma di sperone, che non ha funzione militare, ma solo di miglioramento dell’assetto di navigazione (Gianfrotta, Nieto, Pomey, op. cit. a nota 51, p. 84).

56Becatti, op. cit. a nota 31, nn. 96, 99, 100, 102, 106, 119, 121, 127, 161 e ancora navi affrontate al faro: nn. 45, 85, 92, 105, 110, 120, 123, 124.

57Come il famoso catalogo di navi raffigurato nel mosaico di Althiburus: P. M. Duval, La forme des navires romains d’après la mosaïque d’Althiburus, in MEFRA, 61, 1949, p. 119 ss.; I. Pekary, Vorarbeiten zum Corpus der hellenistisch-römischen Schiffsdarstellungen. Das Althiburos-mosaik als Grundlage für eine Typologie, in Boreas, 7, 1984, pp. 172—192. Per altre imbarcazioni: L. Foucher, Navires et barques figurés sur des mosaïques découvertes a Sousse, 1957; G. V. Gentili, Il mosaico dell’Hercules Bibax o del porto canale tra i mosaici di una domus adrianea di Rimini, in BdA, LXIV, 1979, p. 49 ss.

58C. Gasparri, Materiali per servire allo studio del Museo Torlonia di scultura antica, in MemLinc, 24, 1980, p. 205 ss.; Santa Maria Scrinari, op. cit. a nota 48.

59Per i sarcofagi: G. Koch, H. Sichtermann, Römische Sarkophage, München 1982, p. 124 ss.; per altre classi di materiali: I. Pekary, Repertorium der hellenistischen und römischen Schiffsdarstellungen, in Boreas, Beiheft 8, Münster 1999.

60Per le lucerne cfr. ad es.: M. C. Gualandi Genito, Lucerne fittili delle collezioni del Museo Civico Archeologico di Bologna, Bologna 1977, n. 304; E. Joly, Nuove lucerne con vedute di porto, in LybiaAnt, V, 1978; D. M. Bailey, A Catalogue of the Lamps in the British Museum, London 1980, p. 46, n. 1340.

61V. nota 41.

62Cardium edule e murex brandaris sono i due tipi di conchiglie più usati, sia per ragioni pratiche che economiche; esse vengono utilizzate spessissimo, insieme al pumex, al tartaro di origine eruttiva o sedimentaria e al tofus nell’opus musivum: D. Joly, La mosaïque pariétale au I siècle de notre ère: une niche décorée d’un Hercule au Musée des Thermes, in MEFRA, 74, 1962, p. 123 ss.

63AC inv. n. 31783. Il pannello, attualmente restaurato, mostra una quadriga in corsa verso destra; lungo i margini superiore (a sinistra) e inferiore (a destra) si leggono alcune lettere di un’iscrizione a tessere bianche che nel Bullettino Comunale viene letta: PHOENIX / INGENUO. Da Notizie degli Scavi e dallo stesso Bullettino del 1877 e del 1901, si rileva che furono trovati e staccati altri simili quadretti con amorini o geni che guidavano bighe o quadrighe, ma ne è stato identificato solo uno; W. Letzner, Römische Brunnen und Nymphaea in der westlichen Reichshälfte, Münster 1990, n. 84, pp. 320—321.

64K. M. D. Dunbabin, The victorious Charioteer on mosaics and related Monuments, in AJA, 86, 1982, pp. 65—89, taw. 5—9; per la parodia dei pappagalli che conducono il cocchio: K. Parlasca, Die römischen Mosaiken in Deutschland, Berlin 1959; S. Germain, Les mosaïques de Timgad, Paris 1969, pp. 33—35, tav. 14, 27.

65M. E. Blake, Roman Construction in Italy from Tiberius through the Flavians, Washington 1959; H. Lavagne, O. Wattel De Croizant, De la villa de San Marco (Stabies) au Musée Condé (Chantilly). Histoire d’un enlèvement d’Europe, in MEFRA, 96, 1984, p. 739 ss.; lo stesso Autore però in altra sede lo data in età antonina: H. Lavagne, Operosa antra. Recherches sur la grotte à Rome de Sylla à Hadrien, Roma 1988.

66P. Grimal, Les jardins romains à la fin de la république et aux deux premiers siècles de l’Empire, 1943; N. Neuerburg, L’architettura delle fontane e dei ninfei nell’Italia antica, in MemNap, v, Napoli 1965; F. B. Sear, Roman Wall and Vault Mosaics, in RM, 23. Erg., 1977, p. 121, tav. C, propone una datazione tra la fine del II secolo e l’inizio del III d. C., come Quet, art. cit. a nota 33, p. 810.

67Blake, op. cit. a nota 65, p. 130: «two brickstamps found in the cornice place the nymphaeum in the time of Quietus (CIL, XV, 1, 633 a; 1186). Unfortunatly, stamps of A. D. 150 and 164 were found in the building which served as the substructure of the nymphaeum».

68AC inv. n. 23717, lungh. cm 40, diam. cm 8: CIL, XV, 7450: T. Fl. Clavdi Clavdiani (palmetta); sull’altro lato: Apolavstvs fecit (palmetta); 7434: Clavdiae Verae C. F.; sull’altro lato: Vetrania Zosime fecit. Probabilmente esistono legami di parentela tra Claudia Vera e Claudio Claudiano (Prosopographia Imperii Romani, saec. I—II—III, Berolini et Lipsiae, 1933, nn. 1131, 834). Ti. Claudius Claudianus cl. vir era di origine africana, forse Cirtensis, Quirina tribus. Forse equestre sotto Settimio Severo, ricopre vari incarichi e infine viene nominato legatus Augusti pro praetore in Pannonia Inferiore nel 196—197; console suffeto nel 199 e legatus Augusti pro praetore nella Pannonia superiore nel 201—207.

69NCE inv. n. 5523. Marmo lunense, h. cm 35, lungh. cm 330, largh. cm 65. Lanciani, FUR, tav. 22; CIL, VI, 29767; R. E. A. Palmer, Silvanus, Sylvester and the chair of St. Peters, in Proceeding of the American Philosophical Society, 122, 1978, p. 235. L’architrave, in deposito nei magazzini dell’Antiquarium del Celio, presenta una cornice appena aggettante lungo i margini, con modanatura liscia; il retro è sbozzato.

70R. Lanciani, Rovine e scavi di Roma antica, Roma 1985, p. 99.

71AC inv. n. 14733 bis. C. L. Visconti, Di una tavola di patronato concernente il legato imperiale Avidio Quieto, in BCom, V, 1877, pp. 66—75; CIL, VI, 3828. La tavola, ritrovata in frammenti, contiene il decreto con cui la colonia Flavia Pacis Deultensium elegge suo patrono il legato cesareo Avidio Quieto nell’anno 82. Presumibilmente Quieto fu console suffeto nei primi anni del regno di Domiziano; poi preside della provincia di Galazia nell’età di Traiano (cfr. PIR, cit. a nota 68, n. 1410).

72Per le fistule (AC inv. n. 23717): CIL, XV, 7400 a: T. Avidi Qvieti / XX ---; per la produzione laterizia, esemplificata da un bollo trovato ad Ostia, Tor Boacciana: CIL, XV, 2397; CIL, XV, 7400 b.

73A. R. A. van Aken, Some aspects of nymphaea in Pompeii, Herculaneum and Ostia, in Studia Archeologica G. van Hoorn, Leyden 1951, p. 80 ss.; H. Stern, Origine et débuts de la mosaïque murale, in EtACl, II, 1959, p. 101 ss.; Sear, op. cit. a nota 66, p. 20 ss.

74C. Salvetti, «Per la bellezza dei pavimenti». Il mosaico nell’antichità classica. Tratti e caratteri della decorazione musiva tra l’età dei Severi e il tardo-antico, in La forma del colore. Mosaici dall’antichità al XX secolo, catalogo della mostra, Milano 1999, pp. 22—25.

75M. De Vos, Dionysos, Hylas e Isis sui monti di Roma. Tre monumenti con decorazione parietale in Roma antica (Palatino, Quirinale, Oppio), Roma, 1997. L’Autrice riporta nella prefazione l’acquerello del Museo di Roma, attribuendolo al ninfeo di Avidio Quieto.

76J. Lancha, Mosaïque et culture dans l’Occident romain (I—IV sec.), Roma 1997, in particolare cat. 23, tav. XVIII (El Jem); cat. 29, tav. XXII (Dougga); cat. 110, tav. CXII—CXIII (Villa de Santa Vitoria do Ameixial).

77J. Kolendo, Le port d’Alexandrie sur una peinture de Gragnano?, in Latomus, 41, 1982, pp. 305—311.

78J. M. Vermaseren, C. C. Van Essen, The excavations in the Mithraeum of the Church of Santa Prisca on the Aventine, Leiden 1965.

79C. Gasparri, Le pitture della Caupona del Pavone, Ostia 1970 (MonPittAnt III, Ostia IV).

80Per l’origine e il significato del criptoportico nell’edilizia privata e per la sua decorazione cfr. H. Lavagne, Operosa antra. Recherches sur la grotte à Rome de Sylla à Hadrien, Roma 1988, p. 352 ss.

81E. La Rocca, Il lusso come espressione di potere, in Le tranquille dimore degli dei. La residenza imperiale degli Horti Lamiani, catalogo della mostra, Venezia 1986, pp. 3—35; J. R. Clarke, The Houses of Roman Italy. 100 B. C.A. D. 250. Ritual, space and decoration, BerkleyLos AngelesOxford 1991; A. Zaccaria Ruggiu, Spazio privato e spazio pubblico nella città romana, Roma 1995.

82P. Zanker, Pompei. Società, immagini urbane e forma dell’abitare, Torino 1993; A. Wallace Hadrill, Houses and Society in Pompei and Herculaneum, Princeton N. J. 1994.

83H. Mielsch, La villa romana, Firenze 1990; Horti romani. Atti del Convegno Internazionale, Roma 4—6 maggio 1995, a cura di M. Cima, E. La Rocca, Roma 1998.

84La Rocca, art. cit. a nota 81, pp. 3—8.

85Svolgendo contestualmente quel ruolo utilitaristico che Plinio sottolinea: «aestate incluso frigore riget, contentaque aere suo, nec desiderat auras nec admittit» (V, 6, 30); «temporem solis infusi repercussu cryptoporticus auget, quae ut tenet solem sic aquilonem inhibet summovetque, quantumque caloris ante tantum retro frigoris» (II, 17, 17). V. anche H. Lavagne, Villa d’Hadrien. La mosaïque de voûte du cryptoportique républicain et les débuts de l’opus musivum en Italie, in MEFRA, 85, 1973, pp. 197—246.

86Per rimanere in ambito romano si confrontino ad esempio: G. Pisani Sartorio, Una domus sotto il giardino del Pio Istituto Rivaldi sulla Velia, in AnalRom, Suppl. X, 1983, p. 147 ss.; A. M. Colini, Ricerche intorno a S. Pietro in Vincoli, in MemPontAc, IX, 1966, p. 1 ss.; H. Lavagne, Le nymphée au Polyphème de la Domus Aurea, in MEFRA, 82, 1970, pp. 673—721.

87Per i programmi decorativi nelle grandi domus cfr.: R. Neudecker, Die Skulpturenausstattung römischer Villen in Italien, Mainz 1988; Le tranquille dimore degli dei. La residenza imperiale degli Horti Lamiani, catalogo della mostra, Venezia 1986, pp. 79—104; E. Talamo, Gli horti di Sallustio a Porta Collina, in Horti Romani, cit. a nota 83, pp. 113—170.

88MC Inv. n. 944. Marmo pentelico, h. cm 110. Statua giovanile, imberbe, in nudità eroica con il balteo che attraversa il petto; manca delle braccia e della parte inferiore delle gambe, una tagliata poco sotto il ginocchio, l’altra limitata alla coscia e per questo poggiante su un pilastrino modanato e decorato sulla fronte da un tralcio di acanto. La testa, tagliata obliquamente nella parte posteriore, forse per l’applicazione di un altro elemento, è rivolta verso destra; i muscoli pettorali e addominali sono trattati con sfumati passaggi di piani. Nella parte posteriore, all’altezza delle scapole si nota un taglio netto e una superficie scalpellata che suggeriscono anche in questo caso una parte applicata, forse ali. Varie teorie sono state formulate circa l’identità del personaggio, la cui figura comunque deriva da un originale di cerchia policletea, rielaborato in età adrianea-antonina. O. Benndorf, Sopra una statua di giovane del Palazzo dei Conservatori, in BCom, XIV, 1886, p. 54 ss.; P. Zanker, Klassizistische Statuen, Mainz am Rhein 1974, pp. 2526, n. 22, tavv. 27, 2—3, 5; 28, 3—4; 29, 4; Polyklet. Der Bildhauer der griechischen Klassik, Mainz am Rhein 1990, catalogo della mostra, n. 168, pp. 638—639.

89MC inv. n. 878. Marmo pario, h. cm 30. Ritratto di uomo anziano con testa calva e folta barba. Ha le sopracciglia aggrottate e la fronte solcata da rughe; le labbra sottili sono appena dischiuse. Anche se ricorda vagamente i tratti di Lisia, trova confronti con una testa del Museo Capitolino. Si tratta di una replica da un originale greco del iv secolo a. C. Stuart Jones, op. cit. a nota 30, p. 78, n. 2, tav. 23.

90MC inv. n. 1133. Marmo pentelico, h. cm 46. Erma di Eracle in sembianze giovanili con capigliatura a corte ciocche legata da una corona di foglie di pioppo e da una larga tenia. Esistono diverse repliche del tipo, dipendenti dallo stesso originale della statua Landsdowne, originale forse identificabile con l’Eracle di Sko-pas. Stuart Jones, op. cit. a nota 30, pp. 130—131, n. 7, tav. 47.

91MC inv. n. 877. Marmo lunense, diam. cm 0,60, h. cm 87. Tazza baccellata con ovolo e perle lungo l’orlo e anse sagomate. Sulla superficie superiore delle anse è delineato un cratere tra una palmetta e una corona; la vasca poggia su un sostegno rastremato verso l’alto e scanalato. Stuart Jones, op. cit. a nota 30, p. 78, n. 3a, tav. 28.

92MC inv. n. 1397. Marmo pentelico, h. cm 67, diam. cm 70. Molto lacunoso, il pezzo comprende parte di un cavallo marino che poggia su un calice di foglie d’acanto sostenuto a sua volta da un basso plinto esagonale. La parte superiore era formata appunto dal cavallo marino cavalcato da un satiro di cui rimangono le gambe piegate. Che si trattasse di una fontana è attestato dall’attacco della conduttura. La parte posteriore della scultura è a cono, come il rython di Pontios. Si tratta di un’opera neoattica di età augustea. D. Mustilli, Il Museo Mussolini, Roma 1939, p. 163, n. 6, tav. CIII, 390.

93MC inv. n. 903. Marmo pentelico, lungh. cm 65, largh. cm 33. Amorino o genietto addormentato su un sasso sul quale è distesa una pelle leonina. Appoggia la testa sul braccio sinistro e con la destra regge una face rivolta verso il basso. Sul sasso sono scolpiti, a rilievo molto basso, due tartarughe, una lucertola, un altro animale e un cane. Mustilli, op. cit. a nota 93, p. 169, n. 24, tav. CXI, 425; M. Soldner, Untersuchungen zu liegenden Eroten in der hellenistischen und römischen Kunst, Bern 1986, p. 609, 24, figg. 28—29.

94Tutti i materiali dello scavo, confluiti nelle raccolte capitoline, vennero in parte esposti nei Musei Capitolini, in parte all’Antiquarium del Celio. Con la chiusura di quest’ultimo, a seguito delle ben note vicende relative a questo Museo, furono in gran parte immagazzinati. Un primo tentativo di rimettere insieme quasi tutto il materiale è stato fatto nel 1994 nell’ambito della mostra permanente sulla «Vita quotidiana di età imperiale», allestita nella Casina del Salvi al Celio.

95E. Rodriguez Almeida, Alcune notule topografiche sul Quirinale di epoca domizianea, in BCom, 91, 1, 1986, p. 58.

96Stat., silv., I, 5, 42—43: «non limina cessant / effulgent camarae, vario fastigio vitro / in species animosque nitent».
Credits:
© 2008. Photo: Zeno Colantoni.
2019. Source: https://www.monitor.bg.
© 1999. Description (1): La forma del colore: mosaici dall’antichità al XX secolo / a cura di Angela Donati. Catalogo della Mostra tenuta a Rimini nel 1999—2000. Milano, Electa, 1999. Pp. 162—163.
© 2002. Description (2): Carla Salvetti. Claudius Claudianus clarissimus vir? Gli scavi per l’apertura di via Nazionale e il ritrovamento del mosaico con scena di porto // Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma. Vol. 103 (2002), pp. 67—88.
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