2nd—3rd cent. CE.
193 × 202 × 3 cm. Inv. No. AC 32360.Rome, Municipal Antiquarium on the Caelian HillPhoto by Zeno Colantoni
Scene in a port.
2nd—3rd cent. CE.
193 × 202 × 3 cm.
Rome, Municipal Antiquarium on the Caelian Hill
(Roma, Antiquarium comunale del Celio).
7. Scena di porto
Tessere di marmo e paste vitree.Provenienza: Roma, via Nazionale (palazzo Rospigliosi), 1878.
Roma, Antiquarium Comunale, inventario 32360.
cm 193 × 202 × 3.
II—
L’eccezionale rinvenimento avvenne nel corso degli scavi di fine Ottocento per l’apertura di via Nazionale, in una struttura identificata come un criptoportico che doveva collegare vari nuclei di una grande proprietà privata.
Il mosaico, inserito in un complesso programma decorativo descritto nelle relazioni di scavo, doveva costituirne il punto focale, così come suggeriscono l’ampiezza e l’originalità del tema rappresentato.
La costruzione a più piani che occupa tutto il lato sinistro, raffigura infatti il faro di Alessandria descritto, nel mosaico, con quei particolari che ne potevano permettere l’identificazione immediata. La torre luminosa progettata da Sostratos, considerata una delle sette meraviglie del mondo antico, era costituita da vari nuclei sovrapposti, tra i quali una struttura intermedia di forma ottagonale (qui evidenziata dal diverso andamento dei blocchi che la compongono) e quella terminale cilindrica. Sull’attico della parte intermedia erano poste statue di tritoni in bronzo (qui tratteggiati con elementi sinuosi in bruno e giallo), mentre la statua, in questo caso posizionata sul tetto, doveva trovare collocazione altrove. Dalla banchina, con le profonde arcate di sostruzione e con i pilastrini per l’ormeggio, sta salpando una nave mercantile o da diporto.
Oltre alla minuziosa descrizione degli apparati per il governo dell’imbarcazione, il mosaicista ne evidenzia gli elementi decorativi, utilizzando per esempio tessere brune e gialle per descrivere i riflessi delle decorazioni in bronzo sulla fiancata o in giallo brillante e verde chiaro per dare effetto di leggerezza alla transenna a cancello che chiude la murata.
Le silhouettes dei marinai, impegnati al timone, alla manovra delle vele, alla sistemazione del carico, sono tratteggiate invece in maniera più veloce, con rapidi tocchi di colore a suggerire la carnagione brunita dal sole sotto le tuniche da lavoro, senza tuttavia trascurare annotazioni particolarmente significative come l’età matura del gubernator, a cui fa riferimento la corta barba bianca dell’uomo, seduto a poppa e protetto dall’aplustre.
Raffigurazioni di navi sono comuni a Ostia dove vengono utilizzate come insegne commerciali, ma anche nei mosaici africani — in riferimento a episodi mitologici o letterari o ancora in una sorta di catalogo delle imbarcazioni antiche — ma nessuna raggiunge la raffinatezza e la precisione di dettagli della nave del mosaico capitolino.
Le tessere, in gran parte di pasta vitrea per consentire maggiore leggerezza e aderenza alla parete e per ottenere effetti di luminosità, seguono il disegno in filari regolari, orizzontali o diagonali per campire le più ampie superfici del mare e del cielo o per rendere le murature, mentre si ricorre a un ordito semicircolare, a file oblique parallele o a una disposizione variata, per evidenziare il gonfiarsi della grande vela quadra.
Questi accorgimenti tecnici e l’effetto scenografico dell’insieme, ottenuto con rapide lumeggiature, con macchie di colore e con vibranti accostamenti di luce-ombra, si ricollegano alle esperienze stilistiche del periodo tra la fine dell’età antonina e l’inizio di quella severiana. In questo ambito cronologico del resto si può datare un intervento edilizio sulla struttura del criptoportico, all’interno della grande proprietà verosimilmente attribuibile alla famiglia dei Claudi Claudiani.
Bibliografia:
H. Stuart Jones, A catalogue of the ancient sculptures preserved in the Municipal Collections of Rome. The Sculptures of the Palazzo dei Conservatori, Oxford 1926, Gall. Sup., I, 1, pp. 268—
C. Salvetti, Appunti sul mosaico con scena di porto dell’Antiquarium Comunale, in Atti II Coll. AISCOM (Roma 1994), Bordighera 1995, pp. 383—
Claudius Claudianus clarissimus vir?
Gli scavi per l’apertura di via Nazionale e il ritrovamento del mosaico con scena di porto
Il ritrovamento nella proprietà Rospigliosi Pallavicini del mosaico con scena di porto, conservato all’Antiquarium Comunale, va messo in relazione con i grandi lavori di viabilità iniziati subito dopo il 1870 e portati a termine nel giro di un paio di decenni, in particolare nella zona nord-orientale della città. Il rinnovamento urbanistico che segui al trasferimento a Roma della Capitale del Regno d’Italia e la frenetica attività edilizia per il risanamento di interi quartieri e per la costruzione di nuovi edifici pubblici, venne seguendo le linee programmatiche già tracciate, ai tempi di papa Pio IX, dal suo potente ministro delle armi, mons. De Merode, proprietario per altro di vaste aree a ridosso delle Terme di Diocleziano. Si impostano quindi, poco prima del 1870, iniziative che incideranno in modo sostanziale sullo sviluppo urbanistico delle aree nord-orientali della città, in particolare la collocazione della stazione ferroviaria a Termini, l’apertura di via Nazionale e la successiva sistemazione dell’Esedra1.
Si deve di conseguenza a quei programmi l’individuazione del nuovo asse di espansione della città e la realizzazione del fondamentale collegamento tra la «Roma alta» e le zone pianeggianti centrali, cioè l’asse di via Nazionale parallelo alla via Pia (poi via del Quirinale—
Sulla base delle iniziative già promosse da papa Pio IX e da mons. De Merode e seguendone l’impostazione generale, ebbe inizio dopo il 1870 una febbrile attività, invano contrastata da voci autorevoli di politici e studiosi che p.68 tentavano di mettere in guardia dalle massicce speculazioni edilizie e dalla perdita irreparabile di un patrimonio storico ed archeologico di incredibile interesse: con l’acquiescenza del Comune e irrimediabilmente a danno di questo e a vantaggio delle società finanziarie, cui era affidata la gestione dei lavori, furono portate a termine operazioni urbanistiche molto discutibili e soprattutto fu stravolta buona parte della città.
Questo massiccio programma di interventi dette luogo ad una tale quantità di ritrovamenti (come era logico supporre dal momento che si operava in aree con stratificazioni millenarie), che ben presto la Commissione Archeologica Comunale5 e gli Ispettori della Regia Soprintendenza, incontrarono notevoli difficoltà e non riuscirono a tener dietro a tutti i cantieri, perdendo un patrimonio di dati e di notizie irripetibile per la conoscenza della città antica. La mole dei compiti: sorvegliare gli scavi, rilevare le strutture antiche, raccogliere, trasportare e sistemare i reperti, determinò una descrizione spesso affrettata dei ritrovamenti, effettuata sotto la spinta e l’urgenza dei lavori edilizi e non impedi la distruzione parziale o totale delle strutture che venivano emergendo. In altri casi la presenza di grandi nuclei storico-artistici (palazzi, chiese), che limitavano le aree di scavo, portarono ad una conoscenza incompleta e frammentaria dei siti, tanto da non consentire, ai pochi che seguivano i lavori, di precisare limiti e confini, articolazione e destinazione di molti impianti antichi di cui veniva segnalata la presenza; la ristrettezza dei cavi poi permetteva p.69 a volte di evidenziare solo esigue parti di murature, di cortine, di pavimentazioni.
I lavori per l’apertura di via Nazionale iniziarono nel 1872 nella zona adiacente all’Esedra per interessare solo verso il 1875, dopo una lunga e travagliata scelta sullo sbocco da dare alla strada6, il tratto dall’altezza di via delle Quattro Fontane a piazza Magnanapoli: tra il 1875 ed il 1876 si lavorava nelle aree espropriate di villa Aldobrandini, palazzo Rospigliosi Pallavicini, palazzo Sacripante. A parte una breve ripresa nel 1901 per la costruzione di magazzini su un terreno ceduto dai Rospigliosi lungo la via Nazionale7, solo in anni recenti sono state riprese le indagini a seguito di una campagna di rilevamento e risanamento nelle cantine e nei sotterranei dei palazzi che si allineano nella prima parte della via, ad opera della Soprintendenza Archeologica di Roma8, mentre più recentemente cavi di servizio hanno evidenziato strutture murarie appena al di sotto del manto stradale. Questi interventi, dei quali è stata data peraltro solo un’informazione parziale, hanno confermato la presenza ed hanno puntualizzato la destinazione di alcuni impianti, già descritti in una serie di articoli apparsi sul Bullettino Comunale e su Notizie degli Scavi a partire dal 1876 e puntualmente riportati da Lanciani nella Forma Urbis9 (fig. 1).
1. Lanciani, Forma Urbis, tav. 22. |
Le strutture emerse durante gli scavi ottocenteschi vennero attribuite ai magazzini di Nevio Clemente, identificati in una serie di ambienti allineati e aperti verso la strada, ritrovati sotto Villa Aldobrandini, alle terme di Costantino e ad una serie di domus private, antecedenti alle stesse terme e da queste inglobate. La stratificazione degli insediamenti abitativi sul colle, documentata almeno dall’età repubblicana da una serie di murature in opus reticulatum, rende la topografia della zona piuttosto complessa, con almeno tre quote: un livello di età imperiale che si sovrappone a quello repubblicano ed un livello di IV secolo che si innesta sui due precedenti. Agli inizi del IV secolo infatti una vasta area sulle pendici meridionali del colle veniva spianata per la costruzione dell’edificio termale voluto da Costantino (fig. 2). I ruderi di queste terme, che si conserveranno in misura notevole fino al XVII secolo10, verranno successivamente abbattuti per la costruzione del palazzo del cardinale Scipione Borghese, poi di proprietà della famiglia Rospigliosi Pallavicini11. Per l’impianto del palazzo seicentesco vennero in parte demolite, in parte utilizzate come fondazioni, le strutture costantiniane e furono obliterati i resti a suo tempo inglobati dalle terme12.
2. M. Cartaro, pianta di Roma, 1576, particolare (da Frutaz, tav. 240). |
p.70 A questa complessa stratificazione fanno riscontro le scarne notizie delle fonti, sul Quirinale in generale e su questo settore in particolare, ove anche le terme di Costantino sono menzionate solo da Aurelio Vittore13. D’altra parte sappiamo invece che l’Alta Semita era in epoca imperiale un quartiere densamente abitato, con grandi ville e domus dell’aristocrazia romana, di notevole estensione e ricchezza, dislocate soprattutto nella parte più alta del colle: i Cataloghi Regionari, ancora nel IV secolo ne fanno una delle regioni più ampie e più popolate, in rapporto alla grande estensione degli edifici pubblici esistenti nell’area14.
La conformazione morfologica del colle ha condizionato fin dall’epoca più antica il tracciato viario, articolato essenzialmente nelle due direttrici parallele (con andamento SO-NE), quella lungo la dorsale (vicus laci Fundani—
Se le notizie fomite dalle fonti letterarie sono alquanto succinte, il ritrovamento durante gli scavi di documenti epigrafici e di fistule acquarie timbrate, fornisce una sia pur limitata testimonianza di quel ricco complesso di case private che doveva occupare l’area meridionale del colle. Lanciani traccia uno schema delle proprietà sulla base dei ritrovamenti delle fistule16 e in particolare localizza nell’area sottostante alle terme di Costantino, tra l’abside del calidarium e l’esedra esterna, la domus di Claudius Claudianus e di Claudia Vera, alle spalle della quale era la domus Postumiorum; la domus di Avidio Quieto, forse il legato di Domiziano, nell’area del giardino Rospigliosi e, sulla scorta p.72 di una notizia di Ammiano Marcellino17, la casa di Ceionius Rufus Volusianus Lampadius, praefectus urbis nel 366 d. C., tra via della Consulta ed il recinto delle terme. Altre proposte di identificazione restano incerte a causa della presenza, nella zona di Termini, di un castello di distribuzione delle acque Marcia, Tepula e Iulia, cui erano evidentemente collegati i condotti privati, destinati a varie zone della regione.
Fin dal 1875 quindi nell’area del giardino di palazzo Rospigliosi, più precisamente nella zona compresa tra via XXIV Maggio, via e vicolo Mazzarino e l’attuale via Nazionale, furono messe in luce, durante gli scavi, dapprima strutture appartenenti alle terme costantiniane:
«Nella via Nazionale, sotto il palazzo Rospigliosi e propriamente tra l’orto Mercurelli e la via Mazzarino apparvero alcuni muri di opera laterizia, che costituivano una delle grandi sale delle terme di Costantino, aderente all’exedra ornata di portici, nonché una stanza con pezzi del suo pavimento e più frammenti di comici di marmo colorato (…). Qui si videro ricomparire nel medesimo sito due muri a cortina, con archi e mensole, in tutta la lunghezza del nuovo tratto di via, i quali chiudendo il lato orientale della cinta esterna delle terme, avevano a destra gli avanzi di camere più antiche»18.
Accanto ai ritrovamenti pertinenti all’edificio termale ne vengono segnalati altri che riguardano fabbriche di età precedente, presumibilmente domus. Le notizie, piuttosto scarne, sono le stesse che si ritrovano negli appunti di Lanciani19, nel Registro dei Trovamenti20 redatto dagli assistenti di scavo e in Notizie degli Scavi21: l’esiguità dei dati riferiti, pure accompagnata da minuziosi elenchi degli oggetti rinvenuti, dà la misura della fretta con cui si doveva lavorare e della casualità delle scoperte, determinate più che altro dalle esigenze di cantiere. Poiché raramente vengono indicate le quote dei ritrovamenti, risulta piuttosto arduo definire la pertinenza delle murature a edifici di varie epoche e la mancanza di questo dato risulta particolarmente negativa là dove si sovrappongono o si intersecano murature spettanti a fabbriche private.
Una serie di notizie più circostanziate si comincia ad avere quando ci si imbatte in quello che viene di volta in volta definito criptoportico o ninfeo, riccamente decorato, scavato a più riprese ma sempre in modo parziale. Leggiamo nei rapporti:
«…attirò maggiormente la nostra attenzione una fontana comparsa in prossimità delle descritte rovine, consistente in un muro con nicchie nel mezzo, decorato da pilastri e riquadrature, festoni, quadretti figuranti geni alati su bighe o cavalcando mostri marini, fasci di musaici e conchiglie, oltre a quattro scalette marmoree, per le quali l’acqua discendeva in un sottoposto bacino»22 (fig. 3).
3. Cromolitografia della parete nord-est del «ninfeo» (da BCom, v, 1877). |
«Nella via Nazionale, e propriamente tra l’orto Mercurelli e la via Mazzarino, sotto il palazzo Rospigliosi, continuò la scoperta di quella località che poté qualificarsi per criptoportico appartenuto a ricca abitazione. Rimesso in luce il lato meridionale di esso, comparve l’ordine medesimo delle decorazioni con altra fontana avente la scaletta marmorea per la discesa delle acque, ed i quadretti laterali di musaico (…). Si scopri in quelle vicinanze una fistula acquaria, con l’epigrafe T Avidi Qviet… e XX nell’opposto lato. Rimpetto al descritto muro un altro ne sorgeva in linea esattamente parallela, con eguali ornati a musaico, che insieme al primo formava una specie di ambulacro, il cui termine resta ancora a determinare»23.
«Nello sterro del vicolo Mazzarino continuarono ad apparire gli avanzi del ninfeo de’ Claudi Claudiani, altra volta descritto»24.
«Presso il punto ove il vicolo Mazzarino interseca la via Nazionale, si è scoperto il proseguimento del ninfeo ornato di musaico descritto negli antecedenti rapporti. Nell’ultimo compartimento della parete nord del ninfeo o criptoportico, è tornata in luce una targa di mosaico policromo esprimente una quadriga in corsa, sui margini della quale è scritto: Phoenix/Ingenuo»25.
«Costruendosi una nuova ala del palazzo Rospigliosi Pallavicini sull’angolo delle vie Mazzarino e Nazionale, è stata scoperta la prosecuzione del ninfeo di stile imitante l’egizio, della casa di Avidio Quieto. Quest’ultimo tratto si distingue dagli altri in quanto che lo spazio della parete del ninfeo che divide le due ultime fontane, in luogo di essere semplicemente p.73 rivestito di pomici, con targa a mosaico nel centro, come si era verificato negli altri spazi, è ornato invece di una grande pittura a mosaico in colori, perfettamente conservata. La scena, alta m 1,90 larga m 2,12, rappresenta l’approdo di una nave nel porto»26.
Finalmente la notizia del ritrovamento del mosaico che, come dice una nota nel Bullettino Comunale dello stesso anno, fu donato dal principe Pallavicini al Comune di Roma (fig. 4).
4. Mosaico con scena di porto. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo). |
Il criptoportico era perciò composto da due corridoi perpendicolari tra loro, con un muro interno addossato al declivio del colle e quindi a scarpata, alto quasi cinque metri ed un muro esterno movimentato forse da pilastri posti a distanza regolare e segnati in pianta nel solo braccio con andamento est-ovest. Nicchie semicircolari, distanziate da intervalli irregolari, vengono invece indicate lungo il muro interno: la parte inferiore di questa parete era rivestita fino a m 1,20 da lastre di marmo bianco, al di sopra delle quali era ricavato un canaletto di raccolta per l’acqua che, scendendo dall’alto, scorreva su fontanine a scaletta, formate da lastrine di marmo bianco sovrapposte e inclinate. La parte superiore della parete era scandita da lesene a mosaico (che inquadravano del resto anche le fontanine a scaletta), completate in alto da un capitello composito e decorate con scanalature e serti di fiori su fondo blu. I riquadri determinati dalle finte lesene avevano il fondo trattato a pomice e stucco ed una ricca decorazione formata da festoni nella parte superiore, fiori su un lungo stelo in quella inferiore e quadretti a mosaico al centro. Una fascia modanata, aggettante, a mosaico rosso e nero inframmezzato da conchiglie, chiudeva in alto il prospetto.
Alla descrizione tanto particolareggiata che si legge nei Rapporti di Scavo e nel Bullettino Comunale, corrispondono la tavola a colori inserita nello stesso articolo del Bullettino e un acquerello di Vincenzo Marchi conservato al Museo di Roma, che illustra una fase dello scavo in via Nazionale (fig. 5).
5. V. Marchi. La parete del «ninfeo» durante lo scavo, acquerello. Museo di Roma (foto Museo). |
p.74 Affiancati al braccio orientale del criptoportico furono scoperti alcuni ambienti che però non sembrano in comunicazione: in una di queste stanze Lanciani segnala due elementi modanati affiancati e simmetrici che sembrano vasche forse di una fontana27.
Alla ripresa degli scavi nel 190128 viene messo in luce un ulteriore tratto di criptoportico, in continuazione di quello già conosciuto, comprendente due scomparti rettilinei con la consueta decorazione a pomice e mosaico, separati da uno curvilineo successivamente chiuso da una tamponatura29. L’indicazione che la decorazione viene ritrovata «assai guasta» fa pensare che sia le comici che i quadretti non furono distaccati. Al di sotto di questa struttura, a m 4,50 dal piano di via Nazionale, viene poi messa in luce una stanza di m 4,50 × 4 con pavimento a mosaico bianco e tessere nere grandi a distanze regolari, le cui pareti presentavano tracce di intonaco dipinto «di buono stile, ma quasi totalmente evanite».
E molto probabile che ci sia una correlazione tra questi ritrovamenti dell’800 e quanto si va puntualizzando attraverso le indagini ai piani cantinati di palazzo Rospigliosi: oltre a strutture relative agli impianti di servizio delle terme costantiniane, sono stati infatti evidenziati resti di una domus, in un’area a nord di quella fin qui descritta. Anche queste strutture sono state riferite ad un criptoportico coperto da volta a botte, largo circa m 4 e riconoscibile per circa m 35, arieggiato da aperture a bocca di lupo poste a distanze regolari, al termine del quale (a nord) si apre un portico a pilastri collegati da piatta-bande decorate da concrezioni calcaree e comici di conchiglie. I due pilastri centrali risultano decorati con mosaici colorati e conchiglie; quelli esterni presentano intonaci dipinti; la volta a botte è pure decorata a mosaico. Una apertura coronata da un timpano (con ornamenti dello stesso tipo) mette in comunicazione il portico con un ulteriore ambiente che si dovrebbe sviluppare verso est, un corridoio coperto sempre da una volta a botte, identificato come uno dei bracci di un ampio quadriportico.
Effettivamente si può supporre che una domus di notevoli dimensioni, ma soprattutto molto articolata, si disponesse sul pendio del colle che guarda verso il Viminale, raccordata nei suoi corpi di fabbrica da corridoi, cortili e criptoportici, che oltre ad avere una funzione strutturale, collegavano i vari livelli attraverso passaggi coperti.
Non sembra quindi di potersi escludere che le strutture emerse durante gli scavi ottocenteschi p.75 e quelle indagate dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, possano essere pertinenti ad una stessa domus, tanto più considerando che il criptoportico, come riportato da Lanciani nella Forma Urbis, ha alle spalle il terrapieno e verso sud, a quota inferiore, il hasolato del vicus Longus, mentre il corridoio ed il quadriportico, a cui da ultimo si è fatto riferimento, posizionati più a nord, potrebbero essere ad una quota superiore sul declivio del colle. Un confronto tra quanto indicato nella Forma Urbis e i più recenti rilevamenti, evidenzia come i due nuclei siano tra loro compatibili e abbastanza in asse.
Tra i materiali rinvenuti durante lo scavo il mosaico è indubbiamente un reperto eccezionale per lo stato di conservazione, la tecnica di esecuzione e naturalmente per il soggetto30. Nella parte sinistra del pannello e nella zona p.76 inferiore sono rappresentate le strutture portuali, costituite dalla banchina con le profonde e massicce arcate di sostruzione e le bitte per l’ormeggio delle navi, poste ad intervalli regolari sul marcapiano del molo, e raccordata mediante una breve scala (in cui la pedata dei gradini è resa con due file di tessere blu per renderne la profondità) all’edificio del faro che con la sua mole occupa tutto il lato sinistro (fig. 6).
6. Mosaico con scena di porto, particolare del faro. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo). |
La torre del faro, la cui muratura isodoma è indicata da ricorsi di tessere marroni sul fondo bianco, si articola in tre parti sovrapposte re-stringentisi verso l’alto. Dal basso si possono distinguere una piattaforma a pianta presumibilmente quadrilatera, un’alta torre intermedia di forma poligonale ed una torretta cilindrica coperta da un tetto conico su cui insiste una statua.
La struttura inferiore presenta a destra una stretta apertura che sembra suggerire la presenza di un porticato: la muratura isodoma infatti si interrompe mentre il piano di calpestio superiore si prolunga fino ad un pilastro a sua volta poggiato sul marcapiano del molo. Che non si debba individuare in questo spazio aperto una semplice porta è confermato dal confronto con quella posta invece alla base della torre poligonale, con stipiti e architrave ben evidenziati.
La tessitura in diagonale ed il colore più carico delle tessere disposte sul fondo, che suggeriscono una resa prospettica dei blocchi che compongono la muratura del secondo nucleo, rendono palese l’intenzione del mosaicista che ha voluto evidentemente raffigurare un elemento particolare, caratterizzante la struttura archi tettonica e non una semplice torretta. Sull’attico di questo piano intermedio è collocata una serie di elementi sinuosi illustrati con tessere di colore marrone e giallo.
Infine il terzo nucleo si compone di una struttura cilindrica sulla cui copertura, a cono, è posta una statua raffigurante un personaggio maschile nudo e gradiente verso destra, che accosta al fianco sinistro una lunga asta mentre sullo stesso avambraccio ripiega il panneggio del mantello; la destra è protesa in avanti ed è ipotizzabile che nella mano recasse un altro attributo, ma la lacuna che interessa il settore marginale del mosaico ne impedisce la lettura.
L’identificazione della statua e degli elementi posti sulla terrazza del secondo nucleo della costruzione, sono da mettere in relazione con l’identificazione dello stesso faro — che certamente fa riferimento ad uno dei porti più famosi dell’antichità — ed è pertanto soggetta a diversa interpretazione. Nel dibattito apertosi tra gli studiosi che si sono occupati, in verità marginalmente, del mosaico capitolino, escludendo l’ipotesi di una rappresentazione equivalente all’iconografia simbolica di Faro31 per la p.77 ricercatezza e la ricchezza di dettagli dell’impianto musivo32, ed anche la rappresentazione di un porto immaginario, rimangono aperte le due ipotesi che possa riferirsi al Portus Ostiensis o a quello alessandrino33, il cui faro era considerato una delle sette meraviglie del mondo antico34. Ma mentre per il faro ostiense esiste una documentazione iconografica ampia e abbastanza omogenea, per quello alessandrino si devono tenere in conto le sole ipotesi di ricostruzione. Cosi nel mosaico capitolino la decorazione dell’attico della torre poligonale, in cui si leggono forme irregolari e sinuose, non sembra tanto indicare la presenza dei fuochi di avvistamento accesi sul punto più alto e visibile del faro35, quanto l’accenno ai Tritoni dai lunghi corpi p.78 serpentiformi che costituivano uno degli elementi più caratteristici del faro di Alessandria36. Del resto la non immediata comprensione del motivo può essere giustificata dalla difficoltà di rappresentare di scorcio, sui quattro angoli della struttura, figure piuttosto complesse che forse non erano cosi note o familiari al mosaicista. D’altra parte è anche evidente l’intenzione dell’artigiano di dare una visione dal basso verso l’alto della scena, motivo per il quale le due parti superiori sovrapposte del faro sono di dimensioni minori rispetto alla parte più bassa della costruzione.
L’assimilazione con il faro alessandrino sembra la più verosimile dal momento che la struttura rappresentata nel mosaico trova corrispondenze più puntuali con la torre di Sostratos che con il faro ostiense: al di là della considerazione che entrambi fossero costruiti in opera quadrata, il suggerimento del numero dei piani37, la scala di accesso38 e soprattutto la parte intermedia poligonale39 sembrano un p.79 chiaro riferimento al faro alessandrino (fig, 8). Inoltre le raffigurazioni del faro ostiense40 suggeriscono generalmente che sul nucleo terminale di forma circolare venivano accesi i fuochi di avvistamento41, mentre è probabile che sulla terrazza del penultimo piano fosse collocata una statua42. Per il faro alessandrino si parla di un piano superiore costituito presumibilmente da un’edicola colonnata (attraverso la quale sarebbero stati visibili i fuochi), forse conclusa da una copertura in piano come base per la statua43.
Sull’attico del secondo basamento erano posti quei Tritoni in bronzo che permettevano ai naviganti di riconoscere, anche in caso di nebbia, la localizzazione del porto per il rumore emesso con il vapore dalle lunghe trombe di cui erano muniti i mostri44. Incerta rimane la definizione e la disposizione dei moli, comunque non dissimile da quella dei bracci del porto ostiense, p.80 aperti sul bacino con una serie di profonde arcate da un lato e con strutture di servizio nella parte interna.
Le parti più significative della torre di Sostrato, cioè la struttura poligonale con i Tritoni e quella terminale cilindrica con la statua sulla sommità, sono rappresentate nel nostro mosaico in modo tale che l’identificazione potesse risultare immediata, come del resto avviene anche in quei casi in cui l’estrema semplificazione del motivo, generalmente dovuta alle dimensioni ridotte del campo decorativo45, necessita di uno o più elementi guida per una lettura immediata della rappresentazione.
Quanto alla statua, che doveva coronare entrambi i fari come indicano le ricostruzioni proposte sulla base delle fonti letterarie e della documentazione iconografica, la lacuna nel mosaico capitolino non consente di identificare con chiarezza il personaggio; tuttavia se ne può proporre l’assimilazione con Poseidone, di un tipo ben noto e collegato specialmente con i porti46, nudo e barbato, con il tridente nella sinistra e il delfino o uno scettro o un remo nella destra. La stessa divinità era rappresentata ad Ostia mentre, per il faro di Alessandria, se pure si sono fatte diverse ipotesi47, il personaggio rappresentato doveva avere una simile iconografia.
La posizione della statua, la presenza del portico aperto verso mare e il tipo di attività che svolgono i marinai, suggeriscono che l’imboccatura del porto sta sulla destra del mosaico e che la nave sta salpando con il vento di terra che investe la vela da poppa (fig. 7). Alla manovra presiedono cinque uomini impegnati al timone e alle vele. A poppa l’elemento più caratteristico, l’aplustre, che rientra sensibilmente verso l’interno e serve da riparo al timoniere, è raffigurato come un animale dal lungo collo ricurvo, ben identificabile con un cigno48. Protetta dall’aplustre è la cabina poppiera costituita da una tenda poggiata su quattro piedritti: tra queste due strutture è il timoniere, come di consueto un uomo anziano49 (in questo caso sembra avere una corta barba bianca), vestito di tunica esomide e rappresentato seduto mentre regge la barra che collega i timoni poppieri appoggiati alla struttura sporgente dall’opera morta della nave, raccordata alla murata. Lo scafo è infatti percorso da due «cinte» legate tra loro da puntelli; nella parte terminale verso poppa, le due «cinte», riunite da una paratia, non seguono più la curvatura dello scafo ma formano una sorta di ala attraverso la quale passa il fusto del timone, come nella nave del bassorilievo di Naevolia Tyche di Pompei50.
7. Mosaico con scena di porto, particolare della nave. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo). |
Un secondo marinaio è alle spalle del gubernator, veste anche lui la tunichetta esomide ma è in piedi, forse nell’atto di seguire la manovra da poppa: qui è posizionata sulla piattaforma una cassa, mentre all’estremità è collocato un pennoncino con vessillo bianco; un altro albe-retto, pure con vessillo bianco sfrangiato e legato con nastri, è posizionato a fianco del timoniere.
Un terzo marinaio si può riconoscere nella figura a mezzo busto posta all’interno del cassero p.81 e descritta con pochi tratti: potrebbe essere un aiuto timoniere. Il quarto uomo è seminascosto dalla grande vela quadra, l’acatium, invergata al pennone dell’albero maestro, fissato dagli stragli a poppavia e dalle sartie alle murate51. La vela, investita dal vento, è resa in bianco con il reticolo regolare, a tessere marroni, delle bende, dei ferzi e degli imbrogli: il suo gonfiarsi è efficacemente reso da tanti segmenti lunettati e dal profilo ricurvo degli orli52. Dinanzi ad essa il quinto marinaio è impegnato forse nella manovra di alare gli imbrogli, se si può riconoscere nel cavalletto che ha davanti e sul quale poggia le mani, il verricello con le pulegge che doveva manovrare i tiranti della vela53. Si distinguono due cime che scendono ai lati del cavalletto.
Quest’ultimo marinaio è raffigurato in piedi e vestito come i compagni. Tutti i personaggi rappresentati sono silhouettes rese assai efficacemente con pochi tratti che ne rendono il vivace affaccendarsi ai propri compiti, ma che non trascurano le lumeggiature per dare particolare risalto alle carnagioni abbronzate.
L’opera morta che fuoriesce dalla linea di galleggiamento è rivestita di un fasciame di superficie evidentemente lavorato, dipinto in rosso, blu e giallo e, in alcune parti, rivestito di placche di bronzo, come sembra esemplificare il tritone dal lungo corpo serpentiforme che manda vividi riflessi, inserito nella murata in corrispondenza della linea del ponte e immediatamente al di sopra della linea di galleggiamento.
Un’elegante battagliola con motivo a cancello, forse di legno dorato, chiude il corpo della murata, mentre una piccola imbarcazione, tipo p.82 scialuppa di salvataggio, è legata con la gomena al parapetto e viene trascinata a poppa54.
L’imbarcazione raffigurata nel mosaico capitolino risulta senza dubbio una nave mercantile o da diporto, nonostante la mancanza della parte prodiera che potrebbe fornire ulteriori particolari55: la forma, la velatura e gli elementi decorativi trovano puntuali riscontri intanto nei mosaici delle stationes ostiensi56, seppure più semplificati e con altri tappeti musivi per lo più di ambiente africano o microasiatico ben più complessi57, ma soprattutto con il rilievo Torlonia58 (fig. 9). Tra le due rappresentazioni si istituisce un confronto serrato che dà la misura dell’accuratezza dell’opera, nell’un caso e nell’altro, evidentemente creata su precise indicazioni della committenza.
9. Rilievo con scena di porto. Collezione Torlonia (da Santa Maria Scrinari). |
Oltre infatti alla tipologia della nave, il confronto si estende a tanti particolari decorativi che costituiscono un forte presupposto per immaginare una precisa scelta della committenza e la preparazione del modello o del cartone da parte di un artigiano (marmorario e mosaicista) di grande abilità.
Alla ripresa di schemi noti ormai semplificati, alla ripetitività del motivo come appare trattato su mosaici e sarcofagi59, alla sua logica abbreviazione su oggetti pertinenti all’instrumentum domesticum60, fa riscontro, nei due monumenti, una descrizione molto puntuale ed una ricercatezza di particolari quale poteva solo derivare dall’importanza del manufatto, dalla sua destinazione e molto probabilmente dalla sua realizzazione da parte di un artigiano di grande capacità. Ad un più generico significato attribuibile al faro e al porto61, si dovranno sostituire allora altre motivazioni (a carattere celebrativo?) che esulano quindi da una iconografia che sottende una allegoria o un messaggio simbolico.
Sicuramente l’ampiezza del pannello e la raffinatezza del programma decorativo presuppongono una scelta tematica precisa, per di più p.83 ribadita dalla sistemazione del mosaico come punto focale della struttura architettonica, e sottolineata anche dalla scelta dei materiali impiegati nella costruzione dell’immagine. Le tessere sono per lo più in pasta vitrea, ad eccezione di rocce basaltiche e calcaree e marmi per alcuni toni scuri o tendenti al bianco. Particolarmente brillanti risultano i blu e i verdi — da quelli più cupi al turchese — e gli ocra che vengono infatti utilizzati per quei particolari che potevano essere in bronzo.
La tessitura di un quadro cosi articolato non poteva essere regolare: le tessere seguono per lo più il disegno, disponendosi in filari orizzontali e diagonali solo per campire più ampie superfici. Cosi avviene ad esempio per la descrizione del mare che segue una trama orizzontale o per il cielo in cui sono impiegati blu più scuri e brillanti, con un andamento tendenzialmente verticale. Molto regolare risulta la disposizione delle tessere nella rappresentazione delle murature, mentre per rendere il movimento della grande vela si ricorre ad un ordito semicircolare e a file oblique parallele, interrotte da semicerchi, o ancora ad una disposizione apparentemente irregolare, per renderne il volume.
Una cornice di conchiglie rotonde e scannellate (del tipo cardium edule) racchiudeva il mosaico: la zona superiore con le impronte delle conchiglie, molto lacunosa, è stata rimossa durante il restauro62.
10. Pannello in mosaico con quadriga. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo). |
La stessa campionatura di paste vitree si ritrova nei pannelli che dovevano essere collocati nelle nicchie del muro interno del criptoportico, delimitate dalle lesene. Alla descrizione di più quadretti a mosaico con geni alati su bighe o cavalcanti mostri marini, fanno riscontro, nelle collezioni dell’Antiquarium, due pannelli, uno dei quali riquadrato da una fila di tessere bianche, in cui viene rappresentato un tiro a p.84 quattro verso destra63 (fig. 10): i cavalli sono al galoppo, con le zampe anteriori simmetricamente sollevate; lungo il margine superiore del quadro e sotto, all’altezza delle zampe dei cavalli, corre l’iscrizione a lettere composte con tessere bianche, riferibile evidentemente ai nomi dell’auriga e del cavallo. Nel secondo una biga tirata da ippocampi è guidata da un essere fantastico (fig. 11).
11. Pannello in mosaico con biga. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo). |
La lavorazione di questo pannello risulta molto più corrente rispetto al grande affresco con la nave e si può collocare in una produzione standardizzata, affidata ad una bottega o a maestranze che lavoravano su cartoni piuttosto diffusi, come si evince dalla stessa impostazione del carro, di scorcio, con gli animali rigorosamente allineati64. Anche l’iscrizione, purtroppo assai lacunosa, non è esente da questa resa alquanto sciatta.
Se, sulla base dei confronti, appare abbastanza motivata la proposta di datare questo pannello alla fine del II—
Marion Blake alle cui considerazioni si rifanno anche autori più recenti, impostava una datazione in età flavia sulla base del ritrovamento di bolli laterizi delle figlinae Tonneianae, in opera nella cornice del ninfeo, rammaricandosi tuttavia che nelle sostruzioni del medesimo si fossero trovati bolli di età antonina67. Se l’impiego di tegole di età domizianea può essere giustificato evidentemente con un riuso di materiali, anche la proposta di datare il mosaico nella prima metà del il secolo suscita qualche perplessità non solo per l’impianto stilistico (che tuttavia potrebbe rimanere un argomento soggettivo), ma soprattutto per ragioni tecniche relative sia al pannello musivo che alle strutture architettoniche per le quali si deve ipotizzare un intervento di restauro se non di ampliamento tra la seconda metà del li secolo e gli inizi del III, ad opera di quel Claudius Claudianus a cui vanno attribuite le fistule acquarie68 rinvenute nel braccio del criptoportico con andamento est-ovest (fig. 12).
12. Fistula acquaria di Cl. Claudianus. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo). |
Che una vasta area sulla pendice del colle fosse di proprietà dei Claudii Claudiani può essere confermato dal fatto che si rinvenne sempre nella zona, in scavi non meglio documentati un architrave marmoreo69 con l’iscrizione: Balineum Claudianum (fig. 13) e che pur segnalando nella FUR i ritrovamenti attribuiti ai Claudiani e ad Avidio Quieto rispettivamente nei due bracci del criptoportico, in altra sede70 Lanciani stesso afferma: «A volte io stesso ho scoperto quattro diversi edifici uno sull’altro (…). Quando via Nazionale venne aperta nel 1877 attraverso i giardini Rospigliosi e Aldobrandini sul Quirinale, trovammo prima i resti delle terme di Costantino; poi i resti della domus di Claudio Claudiano, poi, ancora, un’altra domus, questa volta di Avidio Quieto, infine diverse costruzioni con il più antico sistema dell’opus reticulatum», ove sembra di leggere nelle parole dello studioso una precisa stratigrafia dello scavo.
13. Architrave con iscrizione. Roma, Antiquarium Comunale (foto Museo). |
Del resto la circostanza che si rinvennero, sempre nell’800, sull’Esquilino, tavole di p.85 patronato in bronzo con la dedica ad Avidio Quieto71 e ancora fistule con il suo nome nella proprietà Torlonia alla Caffarella72, sembra indicare che tale personaggio avesse più di una proprietà e in quel caso sarebbe più logico pensare che la residenza fosse quella dell’Esquilino dove si rinvennero le tavole. Si può supporre allora che la proprietà del Quirinale venne acquistata o comunque passò ai Claudiani, ma vi rimasero le conduzioni d’acqua che al momento della scoperta crearono qualche confusione nell’attribuzione della proprietà stessa.
Dallo stesso mosaico vengono poi suggerimenti per impostarne una datazione più tarda: le tessere sono di dimensioni piuttosto grandi e utilizzano toni pastosi e densi, con un effetto ben diverso dalla presentazione dell’immagine nei mosaici parietali di I secolo dei ninfei delle ville vesuviane73.
La realizzazione dell’impianto musivo è qui affidata ad accostamenti di chiari e scuri contrapposti; si supera la concezione disegnativa con la realizzazione di prospettive, scorci e spunti tramite variazioni di colore e luminosità diversa, anche là dove si delineano fondamentalmente valori plastici. Mi riferisco in particolare alle strutture del faro e del molo in cui l’impostazione delle linee architettoniche non definisce un preciso impianto monumentale che risponda ad esigenze di prospettiva, ma si suggerisce un effetto finale che si perde in una visione d’insieme particolarmente vibrante. Non da ultimo è da considerare rimpianto scenografico del mosaico ben diverso dalla produzione più corrente, anche se ampie superfici pavimentali vengono ricoperte, a partire proprio dall’età antonina, con scene piuttosto complesse ma generalmente a tessere bianche e nere e con tematiche mitologiche74. Per quello che riguarda poi i mosaici parietali è sicuramente evidente la differenza di impostazione e di realizzazione del mosaico del porto da quelli parietali trovati, sempre sul Quirinale, sotto la Caserma dei Corazzieri o da quelli sempre parietali da una domus sotto gli Horti Farnesiani sul Palatino. Nonostante l’ampiezza delle superfici decorate a mosaico, il risultato è molto diverso: architetture e minute campiture ornamentali inquadrano scene e personaggi con un effetto finale che si avvicina alla contemporanea tecnica pittorica di I secolo d. C.75. Semmai è in Africa che si possono trovare termini per un confronto, considerando però che si tratta di mosaici pavimentali e comunque di una produzione generalmente più tarda76: le analogie si limitano in effetti all’impianto scenografico, alla ricerca di schemi non p.86 comuni, a una grande libertà compositiva, trovando tangenze solo marginali nella resa stilistica.
Si incontrano invece gli stessi accorgimenti stilistici nelle esperienze pittoriche della tarda età antonina-inizi dell’età severiana e, più che nel confronto con la produzione musiva, si potrà trovare in quella pittorica coeva una relazione con quelle forme essenziali, quell’accostamento diretto di chiari e di scuri, quella maniera «compendiaria» che, se tende a far perdere alle figure del mosaico capitolino una solidità strutturale, la compensa con una forte intensità espressiva.
Nel mosaico capitolino, che pure conserva di fondo la tradizione ellenistica della pittura di paesaggio77, si possono ritrovare le caratterizzazioni delle figure del mitreo sotto S. Prisca78 o di quelle della Caupona del Pavone ad Ostia79, con la stessa impostazione coloristica, un simile tratteggio impressionistico, un modo di «dipingere», anche con il marmo, per contrapposizione di colori.
La funzione del criptoportico di passeggiata coperta e di collegamento tra i vari nuclei di cui era composta la proprietà, posti evidentemente nell’ambito di un giardino, subordinata a quella strutturale ma non meno importante, è sottolineata dalla ricchezza dell’arredo architettonico80. La partizione dei muri in nicchie decorate sul fondo da pomici con pannelli centrali in mosaico, la scansione determinata dalle lesene in stucco, la presenza delle fontanine a scaletta per giochi d’acqua, creavano evidentemente un suggestivo gioco di luci ed un’impressione di raffinata eleganza. Il culmine di questo programma decorativo doveva essere rappresentato dal grande pannello in mosaico con la nave, posto o al termine di uno dei bracci del criptoportico o al centro della parete a monte, come sembrerebbero indicare le relazioni di scavo.
Del resto questa ipotesi si accorda perfettamente con quelle immagini di lusso e di magnificenza che attraverso le fonti e i ritrovamenti possiamo ricostruire della città antica81. Se per quello che riguarda Roma la documentazione archeologica, per le stratificazioni della città, si presenta lacunosa e slabbrata, una pallida eco del lusso e della rappresentatività politica e sociale del proprietario di una casa ci viene offerta dalle città vesuviane. Molto è stato scritto82 a questo proposito e relativamente alla codificazione di un impianto strutturale che risponda alle esigenze di esibire il proprio status, fenomeno che darà luogo, a Roma nella piena età imperiale, alla diffusione degli horti, con un recupero dello spazio dedicato all’otium e alla vita contemplativa83.
La mancanza di aree disponibili nel centro cittadino, il costo elevatissimo dei terreni84 e, non da ultimo, la stessa conformazione orografica della città, furono probabilmente all’origine di soluzioni strutturali che, senza rinunciare all’impatto scenografico, potevano superare le difficoltà tecniche: in presenza di aree limitata-mente estese su terreni in declivio, la soluzione del criptoportico si rende necessaria per consentire il passaggio interno da una zona all’altra su livelli diversi85. E tale struttura di collegamento finisce per diventare un elemento di rappresentanza e una dimostrazione delle potenzialità economiche e sociali del proprietario dell’area86.
Il grande corridoio diviene cosi uno degli ambienti funzionali della casa, zona protetta di conversazione o deambulazione, galleria di opere d’arte87.
14. Statua di efebo. Roma, Musei Capitolini (foto Musei). |
Anche dallo scavo sotto palazzo Rospigliosi provengono materiali di arredo, purtroppo non sempre attribuibili con certezza alla domus di Claudiano, viste le stratificazioni in quell’area, p.87 né sicuramente pertinenti al criptoportico, ma significativi comunque di una scelta che poteva appartenere al proprietario di una cosi ricca dimora. Nell’ambito appunto del criptoportico di una domus di lusso potevano essere collocate la statua di efebo con balteo che attraversa il petto88 (fig. 14) o l’erma di filosofo89 (fig. 15) o quella di Eracle con la corona di pioppo90 (fig. 16). In un ambiente di verde e d’acque, quale viene ricreato sulle pareti dalla decorazione musiva e a stucco che abbiamo già visto, potevano ben inquadrarsi come elementi di arredo di uno spazio-deambulazione a diretto contatto con un giardino la bellissima vasca di fontana a forma di tazza baccellata con anse su cui sono delineati strumenti per il sacrificio91 (fig. 17) o il rython con il corpo ferino nascente da un cespo di acanto e cavalcato da un amorino92 (fig. 18) o ancora il rilievo con l’amorino addormentato sulla pelle ferina con in mano la face93.
Alle opere citate, sicuramente attribuibili allo scavo del criptoportico, si affiancano una serie di notizie relative ad altri materiali che però per tipologia e datazione possono essere stati riutilizzati quando venne costruito l’impianto termale costantiniano94.
Quest’ultimo, eretto alla fine del III secolo, obliterò i resti delle strutture più antiche, solo in parte servendosene come zona di servizio dell’edificio termale. Del resto la presenza nella proprietà dei Claudiani di una terma privata, testimoniata dal rinvenimento dell’architrave, potrebbe essere stato uno dei motivi che determinarono la decisione di Costantino di erigere proprio in quell’area le terme, con una motivazione in più: Rodriguez Almeida95, esaminando la possibile localizzazione sul Quirinale delle thermulae Etrusci, ricordate da Marziale e da Stazio96, fa riferimento proprio all’epistilio con iscrizione dell’Antiquarium per suggerire l’identificazione di quelle con il Balineum p.88 Claudianum e per formulare l’ipotesi che le terme costantiniane rappresentino la monumentalizzazione di quel precedente impianto termale. Lo stesso studioso si chiede poi se mai Claudio il il Gotico non possa essere stato l’ultimo di quei Claudii a cui appartenevano le terme (e, a questo punto, tutta la proprietà), passate in eredità a Costantino che si vantava di essere discendente di quell’imperatore.
Se tutte queste sono congetture che non possono avere una verifica nei fatti, perché allora non pensare che il clarissimus vir Claudius Claudianus, proprietario di una splendida casa sul Quirinale, non avesse commissionato il mosaico con la nave e la rappresentazione del faro di Alessandria, lui che era di origine africana, come testimonianza delle sue origini e forse anche di un avvenimento particolarmente importante che lo aveva portato ad attraversare il Mediterraneo?
8. Il monumento di Abousir (da Adriani). |
2019. Source: https://www.monitor.bg.
© 1999. Description (1): La forma del colore: mosaici dall’antichità al XX secolo / a cura di Angela Donati. Catalogo della Mostra tenuta a Rimini nel 1999—2000. Milano, Electa, 1999. Pp. 162—163.
© 2002. Description (2): Carla Salvetti. Claudius Claudianus clarissimus vir? Gli scavi per l’apertura di via Nazionale e il ritrovamento del mosaico con scena di porto // Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma. Vol. 103 (2002), pp. 67—88.