Height 62.5 cm, length 221 cm, depth 66 cm. Inv. No. 125891.Rome, Roman National Museum, Baths of DiocletianPhoto by Ilya Shurygin
Sarcophagus dedicated by 4 freedmen and their wives to their deceased patroness Ulpia Domnina.
Height 62.5 cm, length 221 cm, depth 66 cm.
Rome, Roman National Museum, Baths of Diocletian
(Roma, Museo nazionale romano, Terme di Diocleziano).
Marmo a grana grossa con larghe venature grigiastre; h. cm. 62,5; l. cm. 221; prof. cm. 66. Rotto lungo i bordi; manca la parte inferiore del braccio sinistro del genietto raffigurato presso l’angolo destro.
Provenienza: Roma, da Via Lidia n. 8, fra Via Latina e Via della Caffarella (1953).
Sarcofago a cassa decorato su tre lati, con iscrizione latina.
Sulla fronte al centro è una corona di quercia terminante in basso con un grande nastro che ricade con uno svolazzo, simmetrico, ai due lati; la corona fa da cornice all’iscrizione che ha le lettere campite in rosso. La corona è sostenuta da due grandi Vittorie volanti: esse vestono il chitone che ricade morbidamente, lasciando intravvedere le forme del corpo. Le gambe sono allungate all’indietro, una tende verso il basso e l’altra è leggermente flessa. Le braccia sono tese a sostenere la corona. Il collo è allungato, la bocca leggermente dischiusa, il naso piccolo diritto, gli occhi leggermente infossati, i capelli a ciocche ondulate, con scriminatura centrale, rialzati sulla sommità del capa.
Sotto, ai lati della corona, due cornucopie con frutta, fiori e un grappolo d’uva con pampini. Il corpo della cornucopia ha alcune foglie. Chiudono la decorazione due genietti alati che Spiantano su una gamba, mentre l’altra è flessa, con la face accesa, rivoltata e poggiante su di una roccia. Sono completamente nudi ed hanno le ali spiegate. Il viso paffuto è reclinato su di una spalla, e gli occhi sono chiusi; il mento è rotondo, la bocca carnosa è dischiusa, il naso diritto ha le pinne alquanto larghe. Il bulbo oculare è piuttosto evidente. I capelli a riccioli ricadono sulle spalle, e al di sopra della fronte sono tirati su, in un ciuffo. Un braccio è allungato a tenere la face, mentre l’altro poggia con la mano sulla spalla, incrociandosi sul petto. I corpi sono allungati, seppure paffuti.
Di notevole interesse sono le tracce di policromia, che al momento della scoperta erano molto più evidenti: si vedevano i colori rosso cupo e azzurro. Il rosso riempiva le lettere dell’iscrizione, il listello dell’orlo in alto, e forse quello in basso; di questo colore erano p.87 i capelli della Vittoria di sinistra, le faci rovesciate, forse anche i rilievi rocciosi, il nastro della corona e forse i frutti delle cornucopie. Inoltre tracciava la linea di contorno delle ali, le barbe delle penne brevi e quelle delle remiganti. I solchi che distinguono una penna dall’altra erano azzurri e rossi; azzurri erano il fondo e le iridi delle Vittorie e gli occhi semichiusi dei geni.
L’uso del trapano è limitato alle foglie della corona e ai frutti.
Le Vittorie hanno figure eccezionalmente allungate e panneggi disposti a riempire lo spazio. Sui due lati corti sono due grifi; quello del lato corto sinistro (di chi guarda) è a bassorilievo, quello del lato destro è a rilievo, ottenuto abbassando il fondo.
Il motivo delle Nikai che sui sarcofagi sorreggono il clipeo (o come in questo caso una corona recante l’iscrizione funeraria) raffigurato al centro della cassa, risale nella sua presente formulazione a monumenti onorari dell’arte ufficiale. La filiazione è esemplarmente documentata dal fregio in pietra grigia proveniente da Via della Conciliazione, ora a Palazzo dei Conservatori, Braccio Nuovo (Helbig, n. 1650: E. Simon): su un frammento del monumento onorario due Nikai stanti reggono il clipeus virtutis del generale vittorioso. Il soggetto, riconducibile nell’arte greca al tema dell’erezione di un trofeo da parte di una Nike, benché originariamente previsto per monumenti di carattere ufficiale, diventa occasionalmente privilegio di cittadini autorevoli, senza, parrebbe, che in ciò siano impliciti propositi di apoteosi personale del dedicante (su questo complesso problema v. H. Brandenburg, in JdI, LXXXII, 1967, p. 195 ss., spec. p. 229 ss.; sempre sulla filiazione dall’arte ufficiale di tali raffigurazioni, cui pertanto sarebbe riconnesso un significato non escatologico ma «secolare» vedi F. Matz, in AA, 1971, p. 103 s.).
Nel primo periodo imperiale è attestato su lampade il motivo delle Nikai in volo che reggono il clipeus virtutis, il corpo di profilo e il volto girato frontalmente: anche in questo caso si tratta di un prestito dall’iconografia onoraria di carattere ufficiale (T. Hoelscher, Victoria Romana, Mainz a. Rh. 1967, p. 130 s., tav. 13, 3).
Il tema è quindi trasferito sui monumenti di destinazione funeraria. Brandenburg (art. cit., spec. p. 233) ritiene che il motivo, a tal punto banalizzato da perdere l’originario riferimento al clipeus virtutis, venisse impiegato a scopo puramente «decorativo». Il problema dell’interpretazione del motivo si ripropone con più evidenza quando nel clipeo o al centro della corona sorretti a volte da eroti, a volte da Nikai, altre da putti stagionali, è inserito, a partire dalla fine del II sec. d. C., il ritratto del defunto (v. in genere Jucker, Blätterkelch, spec. p. 139; Matz, art. cit., p. 104 sul suo significato escatologico, e infra, p. 108 ss.).
Per la presenza sui sarcofagi del motivo con le Nikai stanti, riconducibili più direttamente al modello del monumento sillano, cfr. un esemplare a Villa Doria Pamphilj (Villa Doria, n. 234: G. Messineo, tav. CXXXIX, qui genericamente assegnato ad età antoniniana) o quello al Camposanto di Pisa (Matz, ASR, 4, p. 455 s., n. 260, tav. 282, 1: età di Marco Aurelio; Arias — Cristiani — Gabba, p. 128 ss., C 5 est., tavv. 66-77).
Struttura simile a quella dell’esemplare delle Terme, comprendente al centro il gruppo delle due Nikai in volo con il clipeo, verso i margini della cassa due eroti, presenta un sarcofago conservato a Lucca, in S. Frediano (neg. DAI 74.869): nella parte sottostante le Nikai in volo sono due piccole cornucopie e due cestelli ricolmi di frutta rovesciati; cfr. anche un esemplare al Palazzo dei Conservatori, Braccio Nuovo, inv. n. 2772 (K. Schauenburg, p.88 in AA, 1972, p. 506, fig. 7), in cui gli eroti reggono però ghirlande, o quello al Museo Gregoriano Profano (O. Benndorf — R. Schoene, Die antiken Bildwerke des Lateranischen Museums, Leipzig 1867, p. 327 ss., n. 264; Schauenburg, art. cit., p. 509, fig. 10, 511: le Nikai reggono questa volta il clipeo recante i ritratti della coppia defunta).
Sul significato della presenza delle due sottostanti cornucopie v. Cumont, Symbolisme, p. 343, 489; G. Rodenwaldt, in JdI, VL, 1930, p. 176 ss.; Jucker, Blätterkelch, p. 151. Come datazione, il sarcofago può inserirsi nella produzione tardo antoniniana.
Bibliografia: B. M. Felletti Mai, in NSc, 1953, p. 236, ss., fig. 2; B. Andreae, in AA, 1957, col. 222.
Neg.: Ist. Arch. Crist. Univ. Roma.
Iscrizione integra; campo epigrafico diam. 30,5; lettere cm. 3-1,5; tracce di rubricazione; segni di interpunzione regolari; linee di guida sopra e sotto le lettere.
mnine, patrone
nostre, Ulp(ius) Euty-
cius, Ulp(ius) Geminus,
Ulp(ius) Exuperantius,
Ulp(ius) Basilius,
alumni cum
coiuges
suas.
L’iscrizione fu posta alla patrona defunta, Ulpia Domnina, da quattro liberti e dalle loro mogli.
Il gentilizio Ulpius tradisce forse una discendenza da liberti dell’imperatore Traiano, sebbene la paleografia e altri indizi allontanino cronologicamente da tale periodo. Anche alcuni cognomi presenti nell’onomastica dei personaggi hanno un uso piuttosto tardo; il cognomen della patrona Domnina (è da escludere senz’altro l’interpretazione dell’editrice come domina, da unirsi nel senso con patrona, che lascia senza cognome la donna) attestato in CIL, VI una sola volta (10272), è diffuso soprattutto in iscrizioni cristiane, come nome teoforico (I. Kajanto, The Latin Cognomina. [Soc. Scient. Fenn. Comm. Hum. Litt., 36, 2], Helsinki 1965, p. 135, 362). Lo stesso uso è testimoniato anche per Exuperantius, presente nelle iscrizioni cristiane ben 64 volte e in quelle pagane soltanto 9 (I. Kajanto, op. cit., p. 277). Di maggiore diffusione sono invece i cognomi degli altri due personaggi, soprattutto Eutycius, più usato nella forma Eutychius.
I quattro liberti si definiscono alumni della loro patrona; evidentemente, poiché il termine alumnus si riferisce di solito a fanciulli, si voleva ricordare un legame d’affetto risalente ad anni passati (De Ruggiero, I, p. 437). E’ assai probabile che i quattro liberti fossero stati vernae di Ulpia Domnina, e comunque allevati ed educati nella sua casa, cosicché si era stabilito tra loro e la patrona uno stretto legame affettivo, ribadito nell’iscrizione anche dall’uso dell’aggettivo nostra a lei riferito. Può essere sostenibile anche la tesi dell’editrice secondo la quale Eutycius, Geminus, Exuperantius e Basilius sarebbero stati fanciulli abbandonati raccolti dalla defunta, poiché i trovatelli possono essere assimilati a schiavi; la parola alumnus può esprimere infatti sia tale rapporto giuridico, sia quello affettivo. Da tale legame erano invece escluse le mogli dei liberti, che vengono associate nella dedica solo con la breve formula cum coiuges suas, senza essere singolarmente nominate. E’ da notare infine l’uso dell’accusativo con la preposizione cum, che trova però non rare attestazioni in iscrizioni tarde e soprattutto cristiane. L’iscrizione, oltre che per le ragioni sopra esposte, può essere datata forse all’inizio del III sec. d. C., anche per la folta presenza dell’incertezza ortografica tra e ed ae, del gentilizio abbreviato, e per i caratteri paleografici; non sembra tuttavia sicuro, come l’editrice afferma, che l’iscrizione sia più tarda del sarcofago stesso.
Cumont, Symbolisme = F. Cumont, Recherches sur le symbolisme funéraire des Romains, Paris, 1942.
DAI = Deutsches Archäologisches Institut — Archivio Fotografico dell’Istituto Archeologico Germanico — Roma.
De Ruggiero = E. De Ruggiero, Dizionario Epigrafico di Antichità Romane, Roma, 1895 ff.
Helbig = W. H. Helbig, Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in Rom, I—
Jucker, Blätterkelch = H. Jucker, Das Bildnis im Blätterkelch. Geschichte und Bedeutung einer römischen Porträtform, Olten-Lausanne-Freiburg, 1962.
Villa Doria = AA. VV., Antichità di Villa Doria Pamphilj, Roma, 1977.
Text: museum inscription to the sculpture.
© 1981. Description: Museo Nazionale Romano. Le Sculture. I, 2. De Luca Editore. Roma, 1981, pp. 86—88, cat. no. II. 4.