Boxer at rest (“Boxer of Quirinal”, “Terme Boxer”)
Bronze.
1st cent. BCE.
Inv. No. 1055.Rome, Roman National Museum, Palazzo Massimo alle TermePhoto by Ilya Shurygin

Boxer at rest (“Boxer of Quirinal”, “Terme Boxer”).

Bronze.
1st cent. BCE.
Inv. No. 1055.

Rome, Roman National Museum, Palazzo Massimo alle Terme
(Roma, Museo nazionale romano, Palazzo Massimo alle Terme).

Origin:
The boxer was discovered on the Quirinale hill in 1885, during a building campaign. It probably decorated the Thermal Baths of Costantine.
Description:
The sculpture is soldered together from eight separately cast segments. The lips and wounds and scars about the face were originally inlaid with copper, and further copper inlays on the right shoulder, forearm, oxeis himantes and thigh represented drops of blood. The fingers were worn from being rubbed by passers-by in ancient times.

Italiano 123. STATUA DI PUGILATORE IN RIPOSO (inv. n. 1055)

Bronzo con tracce di ossidazione; h. cm. 128.

Minuscole corrosioni sul caestus sinistro, sulle mani e su altre zone del corpo. Restauri: d’integrazione la punta del pollice sinistro e un tratto della coscia destra. Una profonda crepa sulla spalla destra e una simile sull’avambraccio destro sembrano un difetto di fusione: esse furono colmate probabilmente con verghe di bonzo, ora perdute. Anche la sommità della nuca fu sottoposta in antico ad un cattivo restauro per sostituire il pezzo originale, andato perduto, che doveva essere stato lavorato a parte e posto di riporto.

Provenienza: Roma, via IV Novembre (1885). Rinvenuta durante lo scavo per la costruzione dell’ora demolito Teatro Drammatico Nazionale, nel luogo dell’ex convento di S. Silvestro al Quirinale.

Statua bronzea più grande del vero di un pugilatore seduto in posizione raccolta, con la parte del corpo spostata in avanti, le gambe divaricate, i piedi poggiati a terra solo con il calcagno e con il margine esterno della pianta, le braccia rigidamente appoggiate sulle coscie, la testa sollevata e ruotata verso destra. Soprattutto in quest’ultima appaiono evidenti tracce dell’attività del personaggio: i denti superiori (che forse erano stati inseriti, come gli occhi, dall’apertura esistente inizialmente sulla nuca) sembrano caduti o almeno spostati, rocchio destro appare tumefatto, gli orecchi sono gonfi per i colpi e coperti di ferite da cui sgorgano ancora gocce di sangue, la bocca è aperta come se il corto naso schiacciato, anch’esso gonfio, fosse occluso dal sangue che scorre.

Il volto appare perciò di un realismo brutale e quasi aggressivo, con la fronte bassa, la barba e i capelli a grosse ciocche ritorte madidi di sudore, le vuote cavità degli occhi (che erano stati lavorati a parte in altro materiale colorato) che rafforzano l’impressione di uno sguardo desolato e rozzamente stupito che si rivolge o al pubblico cercando l’applauso o, accigliandosi, a qualcuno che sembra disturbarlo, mentre stanco si riposa in una pausa della lotta. Al viso corrisponde il corpo tarchiato e pesante, con il torace possente, il p.196 tozzo dorso taurino e il collo grosso e corto; la spalla e il gomito destri presentano ampie escoriazioni causate dai colpi dell’avversario, mentre il membro virile ritorto e infibulato riporta all’uso tipico dei lottatori.

Ciascuna della mani è protetta da un guanto leggero che lascia scoperte le dita alle loro estremità ed è armata del caestus (manopola) tipico dei pugilatori, accuratamente descritto nella sua complessa struttura di fasce e corregge di cuoio che servono a mantenerlo nella stessa posizione e cingono anche l’attaccatura della mano e parte dell’avambraccio, come si osserva di frequente in figure di atleti. Poiché la struttura del caestus e delle corregge impedisce il libero movimento dell’articolazione della mano, il pugilatore non può piegare liberamente le dita, pollice escluso, bensì le tiene strette in avanti.

Sul caestus che protegge la mano sinistra e precisamente sulle due corregge che lo legano sopra l’anulare, il Carpenter (in bibl., MAARome, VI) credette di riconoscere la firma dello scultore ateniese Apollonios, figlio di Nestor, attivo nel I sec. a.C.: sulla prima correggia, infatti egli lesse Apollonios, nella seconda Nestoros; per quanto si riferiva all’etnico Athenaios, e al verbo epoiesen ne postulò l’esistenza in antico sulle altre due strisce, rispettivamente la terza e la quarta, che gli sembrarono molto corrose e pensò perciò che il tempo avesse cancellato le lettere. Questa lettura portò a confrontare stilisticamente il Pugilatore con l’altra opera firmata da Apollonios, il celebre Torso del Belvedere al Vaticano (Helbig, n. 265: W. Fuchs), che ha notevoli affinità con questa: caratteristici delle due statue sono la stessa pesante corporatura, la medesima ostentazione dell’anatomia, con ampi volumi e con forte rilievo dei muscoli — sebbene nella seconda ogni forma sia più voluminosa —, la stessa linea del dorso ricurvo, l’analoga posizione delle gambe — che presentano però nell’opera vaticana una maggiore distinzione degli elementi anatomici —, gli stessi movimenti fortemente contrastanti e il loro ritmo disunito e interrotto, anche se nel Torso del Belvedere si riscontra un atteggiamento più complesso, in dicante l’azione nel corpo animato da un’energia che contrasta con la posa esausta, scoraggiata o rilassata della statua delle Terme.

La Williams (in bibl., p. 343, nota 50) notava differenze paleografiche fra il facsimile dell’iscrizione dato dal Carpenter e quello del Torso del Belvedere, concludendo col ritenere antica quella sul Pugile e opera di un più tardo copista quella del Torso. A sua volta il Picard non riusciva a riscontrare l’iscrizione sull’opera e infine la Guarducci (in bibl.) ha ultimamente rianalizzato con cura il bronzo, dimostrando che l’iscrizione non esiste. I segni interpretati dal Carpenter come lettere, secondo la studiosa, devono considerarsi accidentali: si tratta di minuscole corrosioni nel bronzo che si notano qua e là nella statua e che possono dare, a prima vista, l’impressione di piccolissime lettere, né è da supporre che vi siano lettere cancellate dal tempo, dato che l’opera presenta ancora la sua patina antica. Il punto della statua poi non è adatto ad incidere un’iscrizione, perché lo spazio è limitatissimo e perché la firma sarebbe rimasta praticamente invisibile, mentre l’artista avrebbe certamente desiderato il contrario (la firma di Apollonios sull’opera vaticana è infatti a lettere chiarissime).

Altri ancora hanno esaminato la scultura ed hanno creduto di riconoscere la firma, incisa in caratteri microscopici: tra l’altro su una figura nuda di tal genere l’unico posto al quale si può pensare per collocare un’iscrizione è proprio il guantone; inoltre non si può escludere che l’opera, posta al riparo nel magazzino del Museo durante il periodo bellico, abbia subito un’ossidazione a causa dell’umidità e che una eventuale, incauta ripulitura abbia fatto scomparire ciò che era ancora visibile della firma.

Secondo il Della Seta (in bibl., p. 567) e il Giglioli non è poi da respingere l’ipotesi che una analoga iscrizione per esteso dovesse essere sulla roccia su cui in origine era seduto il pugile.

A parte l’iscrizione sul caestus, sul polpastrello del dito mediano del piede sinistro la figura presenta impressa in fusione una alpha, forse marchio di officina, e sul dorso del piede destro, reca incisa con lo scalpello una A latina di periodo imperiale, da interpretarsi come contrassegno di carattere pratico. Proprio attraverso queste due iniziali si può forse individuare il nome di Apollonios: in ogni caso, e anche se l’iscrizione sul caestus in realtà non esistesse, sia il Pugilatore sia il Torso del Belvedere potrebbero bene essere attribuiti ad un unico artista per le sostanziali analogie che le due opere presentano (il Giglioli pensa addirittura ad una probabile provenienza da uno stesso edificio antico). Secondo il Becatti, invece, cadendo la base della supposta firma di Apollonios, rimane aperto il problema dell’attribuzione e dell’inquadramento stilistico del Pugilatore.

Alcuni studiosi (un elenco è in Richter, Ancient Italy, p. 70, nota 79), basandosi sulla posizione della testa, hanno pensato di avvicinare alla statua in questione l’altra, anch’essa bronzea, di un principe ellenistico (vedi infra n. 124), scoperta contemporaneamente alla precedente e in prossimità di essa. La Williams ha proposto l’ipotesi che associerebbe p.197 le due figure in un gruppo raffigurante Amykos, re dei Bebrici, e i Dìoscuri, dove il pugile seduto (Amykos) sarebbe collocato al centro, con ai lati Castore (ipotetico) e Polluce (l’altra opera bronzea). Tale ipotesi per la studiosa sarebbe confermata anche dal luogo della loro provenienza, cioè le Terme di Costantino sul Quirinale (per la bibl. al riguardo cfr. la nota 63). Secondo il Picard (in bibl., R.A.) tuttavia questa teoria cadrebbe soprattutto per considerazioni stilistiche poiché non si può riconoscere in esse un medesimo stile. Anche per il Fuchs un collegamento originario tra le due statue è improbabile e inoltre non esiste alcuna giustificazione per una spiegazione mitica come Amykos.

Il Lullies, senza specificare, afferma che l’opera rappresenta un mitico pugile che faceva gruppo con una seconda figura, e così lo Schefold, che in alternativa ipotizza anche che possa raffigurare un atleta generico.

L’opera potrebbe aver avuto una funzione onoraria (Bulle), oppure essere stata la dedica di un atleta vittorioso (Carpenter, in bibl., 1927; su opinioni precedenti v. nota 22) anche se, come afferma la Williams, è molto improbabile che un atleta scegliesse il momento fermato dall’artista nella statua con l’intento di commemorare una vittoria.

Come archetipo o ispirazione potrebbe essere servito all’artista un Herakles seduto opera di Lisippo (al riguardo cfr. J. Dörig, in JdI, 72, 1957, p. 19 ss.) che da Taranto era stato portato a Roma nel 209 a.C., da Q. Fabius Maximus Verrucosus e del quale resta una serie di repliche tra cui un torso — a parte quello del Belvedere per il quale il problema iconografico è ancora aperto — conservato al Metropolitan Museum (Richter, Cat. Metrop. Mus., n. 181, tavv. CXXV, CXXVI) da datarsi all’inizio del III sec. a.C., il quale mostra tuttavia rispetto sia all’opera in questione sia al Torso del Belvedere, un nudo privo di esagerazioni anatomiche e una minore torsione del corpo. Il Pugile delle Terme si presenta molto più muscoloso soprattutto nelle spalle anche rispetto al torso c.d. di Atleta stante a Berlino (Zanker, in bibl., n. 3 p. 58), nel quale la resa della superficie della schiena e la linea del dorso che si perde in tanti spezzettamenti si riallacciano all’opera in questione. Eccesso della muscolatura e taglia colossale sono caratteristiche anche dell’Herakles Farnese a Napoli (Guida Ruesch, n. 186; Bieber, p. 34, fig. 84) della fine del IV sec.: in tutti questi lavori, compreso il Pugilatore, non si giunge tuttavia allo stato di esagerata tensione del c.d. Gladiatore Borghese al Louvre (Giglioli, in bibl., p. 982, fig. 726), opera di Agasias di Efeso, un po’ più antica del Pugile delle Terme con il quale però ha in comune la violenta torsione del capo.

Per quanto riguarda la testa è anche interessante un richiamo a quella della statuetta bronzea di Herakles in riposo da Villa Albani (Helbig, n. 3279: H. von Steuben) che si può collocare con la prima epoca creativa di Lisippo ed è perciò databile nella prima metà del IV sec. a.C., tranne la testa la cui struttura rivela un’epoca più tarda.

Oltre quella rappresentata dal Pugilatore, un’altra documentazione sullo strumento professionale dei pugili, il caestus, proviene dal frammento appartenente a una statua bronzea di pugilatore a Verona (di natura commemorativa o decorativa), precisamente una mano sinistra (C. Saletti, in Il territorio veronese in età romana — Atti del Convegno, Verona, 22-24, X, 1971, p. 151, n. 12, tav. IV), conservata fina al polso e anch’essa rivestita del guanto leggero e del caestus minuziosamente descritto.

Un’aggiunta particolarmente importante per la conoscenza del Pugile è costituita infine da una gemma a Göttingen (F. Crome, in Nachrichten der Akademie der Wissenschaften in Göttingen — Philol. Hist. Klasse, 1931, n. 58, fig. 214) sulla quale è incisa la figura di un pugile seduto che molto probabilmente riproduce lo stesso originale della statua bronzea: secondo il Crome il colombo che appare in volo nel campo della gemma va interpretato come annunciante la vittoria, per cui la Richter ritiene che la statua rappresenti semplicemente un atleta vittorioso, come nel caso del giovane pugile seduto raffigurato su una p.198 corniola in una collezione privata svizzera (Richter, ibidem, p. 70, nota 78). Dal punto di vista stilistico il linguaggio formale dell’artista ha qualcosa di duro e di discorde: in tale senso il rozzo volto tartassato sta in evidente contrasto con l’esecuzione della capigliatura che si rifà ai modelli classici e, nonostante il generale disordine, presenta anche parti nelle quali le singole ciocche di capelli si dispongono simmetricamente o sono irrigidite secondo motivi ornamentali. Anche il contrasto fra il trattamento delle masse muscolari del torso e quello del capo, l’impostazione della testa di profilo, secondo una visione che pur accentuando i caratteri fisionomici turba il ritmo d’insieme della scultura, ci danno la misura dell’eclettismo di Apollonios che non sembra concedere una fusione completa di elementi diversi.

Da un modello del III sec. a.C., dunque dell’inizio dell’età ellenistica, sembra derivare la tensione della figura raccolta, con il forte aggetto delle gambe tese in avanti (Fuchs); invece i duri contrasti e il tormentato effetto superficiale della forma plastica nella cui vacuità si esprime un influsso classicistico, l’accuratezza nel disegnare la muscolatura fin quasi ad arrivare al virtuosismo (ma si noti la classicistica omissione delle vene) e al tempo stesso una scarsa aderenza del modellato alla struttura della figura, il brutale realismo, sono propri della fine dell’ellenismo e portano a datare l’opera alla prima metà del I sec. a.C. (più precisamente secondo quarto del I sec. per il Fuchs; il Lawrence invece la colloca intorno alla metà del III sec., mentre il Sieveking scende all’età augustea), epoca cui rimandano i caratteri paleografici delle due iniziali ancora oggi esistenti. Tale datazione coincide inoltre con il periodo in cui si colloca generalmente Apollonios, che per di più allora si trovava probabilmente a Roma ove era giunto dopo la distruzione di Atene nell’86 a.C.

E’ infine opinione generalmente accettata che si tratti di un originale (per la Richter, in bibl., Three…, p. 77, invece è probabilmente una copia romana di opera greca ellenistica).

Orietta Vasori
Literature:
R. Lanciani, in NSc, 1885, p. 223; R. Lanciane, Ancient Rome, London 1888, p. 304 s.; Bulle, p. 118 s., tavv. 167 e 236; R. Carpenter, in MAARome, VII, 1927, p. 133 s., taw. XLIX—LI, 1; R. Carpenter, in AA, XLIII—IV, 1927-28, coll. 163-164; Lawrence, Sculpt., tavv. 28a, b, pp. 18 e 108; A. Della Seta, Il nudo nell’arte, I, Arte antica, Milano-Roma 1930, p. 561 ss., figg. 180-181; R. Paribeni, n. 545; R. Paribeni, Il Ritratto, tav. 61; R. Carpenter, in MAARome, XVIII, 1941, pp. 73, 78, 104; G. Rodenwaldt, Die Kunst der Antike. Hellas und Rom4, Berlin 1944, fig. 461, nota a p. 741; R. Carpenter, in AJA, XLIX, 1945, p. 353 ss.; Ph. L. Williams, in AJA, XLIX, 1945, p. 330 ss.; Lippold, Handb., p. 380, tav. 134, 2; G. M. A. Richter, Three Critical Periods in Greek Sculpture, London 1951, pp. 48, 77, flg. 103; G. Q. Giglioli, Arte greca, II, p. 983 s.; G. M. A. Richter, Ancient Italy, University of Michigan 1955, p. 69, fig. 211; M. Guarducci, in ASAtene, XXXVII—XXXVIII, 1959-1960, p. 361 ss.; Bieber, p. 180, figg. 766, 767, 769; R. Lullies — M. Hirmer, Griechische Plastik2, München 1961, tavv. 275-277; Beazley-Ashmole, fig. 202, p. 94; A. Giuliano, La cultura artistica nelle provincie greche in età romana (Epirus, Macedonia, Achaia: 146 a.C.—261 d.C.), Studia Archaeologica, 6, Roma 1965, p. 58 s.: con bibl.; J. Boardman, J. Dörig, W. Fuchs, M. Hirmer, Die griechische Kunst, München 1966, fig. 301, p. 218; Picard, Manuel, IV, p. 916 e nota 2 a pag. 915; Fuchs, Skulptur, p. 281 ss., figg. 311-312; K. Schefold, Die Griechen und ihre Nachbarn, Berlin 1967, n. 144; Helbig, n. 2272: W. Fuchs; Zanker, Kl. Statuen, pp. 58, 74.

Neg.: DAI 66.1689; Anderson 2149.
Credits:
© 2010. Photo: Ilya Shurygin.
© 1979. Description: Museo Nazionale Romano. Le Sculture. I, 1. De Luca Editore. Roma, 1979, pp. 194—198, cat. no. 123.
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