Inscription from sepulchre of Quinctii (tomb A)
100—71 BCE.
CIL I2 2527a. ILLRP 795. AE 2000, 181.
Rome, Tombs on the Via StatiliaPhoto by Ilya Shurygin

Inscription from sepulchre of Quinctii (tomb A).

100—71 BCE.
CIL I2 2527a. ILLRP 795. AE 2000, 181.

Rome, Tombs on the Via Statilia
(Roma, I sepolcri di via Statilia).

Origin:
Rome, Via Statilia, corner of via di Santa Croce in Gerusalemme. Tomb of Quinctii.
Description:
Material: marble, tufa.
Inscription is made with scriber.
Language: latin.

CIL I2 2527a. ILLRP 795. AE 2000, 181.

P(ublius) Quinctius T(iti) l(ibertus), libr(arius),
Quinctia T(iti) l(iberta) uxsor,
Quinctia P(ubli) l(iberta) Agatea liberta,
concubina.
5 Sepulcr(um) heredes
ne sequatur.

Publius Quinctius, freedman of Titus, copyist,
Quinctia, freedwoman of Titus, [his] wife,
Quinctia Agatea, freedwoman of Publius, [his] freedwoman, [his] concubine
This tomb can’t be inherited.

Italiano R. 2 Uxsor in luogo di uxor; r. 3 Agatea in luogo di Agathea. Sulla scorta dell’impaginazione della r. 2, centrata rispetto ai margini laterali del blocco (da notare il termine uxsor allineato a destra nel tentativo di riequilibrare una riga che altrimenti sarebbe stata troppo sbilanciata a sinistra rispetto a quella superiore), la sequenza -erta del termine liberta in r. 3, incisa - tranne la lettera E - al di fuori della linea di contorno del blocco, sembrerebbe aggiunta dal lapicida in corso d’opera per evitare possibili fraintendimenti tra lo scioglimento dell’abbreviazione lib. per liberta e lo scioglimento di libr. per librarius in r. 1, qui favoriti dalla presenza nella nomenclatura di Agathea del patronato P(ubli) l(iberta), che rendeva superfluo ripetere il termine liberta a corredo del cognome; r. 4 «concubina», aggiunta epigrafica in lettere nane.


L’iscrizione è composta dall’elenco nominativo dei tre destinatari del sepolcro, tutti di condizione libertina, legati tra loro da vincoli di parentela e affettivi nati da un originario rapporto di comune dipendenza o patronato: P. Quinctius, che esercitò il mestiere di copista e/o di commerciante di libri, e la moglie Quinctia furono infatti manomessi dal medesimo patrono, un T. Quinctius, mentre Quinctia Agathea deve la propria libertà al primo personaggio, di cui in seguito divenne concubina.

Proprio i legami intercorsi tra questi personaggi, deducibili sia dall’onomastica (uguale gentilizio; formule di patronato), sia dalla qualifica di uxor (moglie legittima) e di concubina (convivente), quest’ultima significativamente aggiunta in un secondo momento, permettono di ricostruire in via ipotetica la storia di questo nucleo famigliare allargato.

Il rapporto tra P. Quinctius e Quinctia nacque probabilmente come contubernium (coabitazione senza rilievo giuridico) tra due schiavi alle dipendenze dello stesso padrone, T. Quinctius, e fu trasformato in conubium (nozze legittime) quando la coppia - grazie alla sopraggiunta manomissione - acquisì con lo status libertino la capacità giuridica di contrarre un matrimonio legalmente riconosciuto. Solo allora P. Quinctius liberò la schiava Agathea, insieme alla quale lui e la moglie costruirono il sepolcro, commissionando ad un’officina lapidaria l’iscrizione che sanciva e garantiva il loro diritto di proprietà. Dopo la morte di Quinctia, P. Quinctius iniziò a vivere con Agathea in concubinato, una forma di convivenza stabile, ma giuridicamente illegittima, che differiva dal matrimonio perché mancava l’affectio maritalis, ovvero la reciproca volontà delle parti di vivere come marito e moglie per la durata dell’intera esistenza (il che non implicava che il matrimonio dovesse essere perpetuo e indissolubile: l’affectio maritalis poteva venire meno in uno o in ambedue i coniugi e, conseguentemente, la convivenza si interrompeva con il divorzio). Nonostante questa premessa, la lunga durata dell’unione tra i due liberti è provata dal comune monumento sepolcrale e, in particolare, dall’aggiornamento dell’iscrizione incisa sulla facciata, in cui la qualifica di concubina, impaginata in lettere nane nell’esiguo spazio disponibile tra la riga 3 e la cornice dell’architrave, fu aggiunta in coda all’onomastica della donna.

Le ragioni che indussero P. Quinctius e Quinctia Agathea, giuridicamente capaci di contrarre nozze legittime, a scegliere questa forma stabile di convivenza furono probabilmente legate, come ancora oggi accade, alle condizioni previste per la costituzione del matrimonio e alle conseguenze giuridiche che esso determinava, tali da rendere il concubinato frequente anche tra i ceti elevati (PLIN. Epist. 8, 18).

Chiude l’iscrizione la formula sepulcrum heredes ne sequatur con cui P. Quinctius, Quinctia e Quinctia Agathea sancivano l’inalienabilità del sepolcro, escludendolo dalla devoluzione ereditaria. Naturalmente questa clausola non impediva ai tre proprietari di estendere il diritto di sepoltura a persone scelte nell’ambito della loro famiglia e/o ad estranei, come del resto suggerisce il numero di sepolture predisposte all’interno della cella, quattro inumazioni ricavate nel pavimento tufaceo (tre delle quali presumibilmente occupate dagli stessi Quinctii: COLINI) e quattro nicchie con olle fittili nella parete di fondo.

Riguardo alla professione esercitata dal liberto P. Quinctius, non è possibile precisare se contemplasse solo l’attività di copista di lettere, documenti e libri, svolta in proprio o al servizio del patrono, oppure se includesse anche la gestione di una bottega per la rivendita di libri in qualche quartiere di Roma, come era il caso di P. Cornelius Celadus, librarius ab extra porta Trigemina (CIL, VI 9515), la cui taberna si trovava nella pianura subaventina e, precisamente, nell’area immediatamente all’esterno della porta Trigemina, e di Cn. Pompeius Phrixus (CIL, VI 3413*), forse legato al grammatico Pompeius Lenaeus, a sua volta liberto di Pompeo Magno, che svolse sulla via Sacra nel Foro Romano non solo l’attività di copista e commerciante di libri, ma anche quella di maestro versato nell’uso delle arti e delle lettere (doctor librarius).

Ulteriori contributi alla ricostruzione della geografia crematistica del settore librario vengono dalle fonti letterarie, che localizzano in età imperiale numerose rivendite di libri proprio nei quartieri limitrofi al Foro Romano, come l’Argiletum (MART. 1, 3, 1-2) e il vicus Sandalarius, dove si concentravano - oltre i calzolai da cui il distretto prendeva nome - la maggior parte dei librai della capitale (GELL. 18, 4, 1), tanto che non lontano i Cataloghi Regionari di etа costantiniana posizionano anche gli horrea Chartaria (depositi per la carta).

Sotto il profilo onomastico, oltre la rarità del nome di origine greca Agathea, attestato a Roma solo in un’altra iscrizione (CIL, VI 33422), si può notare l’omissione del cognome nella nomenclatura di P. Quinctius e Quinctia, significativa soprattutto se consideriamo che il ceto libertino aveva iniziato ad impiegare l’ex nome servile con funzione di cognome già nel II sec. a.C. (il primo esempio datato è del 113 a.C.) e che questa prassi era divenuta ormai abituale nel corso dell’ultimo secolo dell’età repubblicana. I motivi di questa omissione volontaria, attestata anche in altri documenti, ma qui resa particolarmente evidente dall’indicazione del cognome Agathea, sono stati spiegati con un’operazione di mimesi onomastica (PANCIERA) attraverso la quale i liberti - nel tentativo di mascherare sia la loro origine non latina, sia la loro estrazione servile (entrambe denunziate da grecanici come Agathea) - imitavano le formule onomastiche coeve dei liberi di nascita (ingenui), che erano ancora prive di cognome (gli ultimi casi di ingenui senza cognome appartengono ai primi decenni del I sec. d.C.) e utilizzavano in funzione quasi cognominale e individuante termini di relazione parentale. Proprio per analogia con l’onomastica degli ingenui, è probabile che i due Quinctii abbiano supplito all’omissione del cognome sulla fronte del loro sepolcro ricorrendo, in sua vece, alle qualifiche distintive di uxor e librarius.

G. Di Giacomo
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Credits:
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