Roman work. 170—180 CE. Inv. No. 10.Venice, National Archaeological MuseumPhoto by Ilya Shurygin
Tiberius Claudius Pompeianus.
Roman work. 170—180 CE.
Venice, National Archaeological Museum
(Venezia, Museo archeologico nazionale).
60. Busto di Pompeiano (inv. n. 10).
Marmo greco: alt. totale m. 0,67; dal mento all’apice del capo m. 0,30.
La conservazione è buona se si eccettua una lunga scheggiatura al padiglione dell’orecchio sinistro. Sono di restauro: l’orecchio destro, parte del collo e il busto corazzato, che è di alabastro fiorito e decorato al centro con una testa alata di Medusa.
Proviene dal legato Grimani del 1586. Si conserva nella sala XIII del Museo.
Questo marmo è stato ritenuto dagli Zanetti, dal Valentinelli e dal Dütschke il ritratto di Pertinace; ma l’attribuzione è stata in seguito messa in dubbio dal Bernoulli, che ha rilevato con ragione la scarsa somiglianza fisionomica con le immagini monetali di questo imperatore. L’Anti, giudicando il lavoro di nessuna importanza, non si è nemmeno posto il problema dell’identificazione, e da allora ad oggi il busto è passato inosservato agli studiosi di iconografia romana. A nostro avviso, invece, l’opera si mostra di singolare interesse, non solo stilistico ma anche e soprattutto iconografico, in quanto pare ci tramandi l’unica (almeno finora) immagine marmorea a tutto tondo — forse pertinente ad una statua — di Tiberio Claudio Pompeiano, generale romano di origine siriaca, resosi famoso per aver combattutto in varie guerre con Marco Aurelio.
La sua immagine, rimasta per secoli sconosciuta, fu identificata per la prima volta dal Petersen1 in varie scene della colonna aureliana2. L’importante ruolo assunto a fianco dell’imperatore specialmente nelle campagne contro i Marcomanni, i Quadi e i Sarmati, rispettivamente del 171—
Un certo interesse sembra presentare il paragone in particolare con la testa di Pompeiano vista di 3/4 nella scena XX e con i profili marcatamente aggettanti nelle scene LXXVIII b e LXXXIII. Ma rapporti molto più puntuali e validi si possono istituire con il suo volto, di singolare energia espressiva, raffigurato in alcuni pannelli aureliani inseriti nell’attico dell’Arco di Costantino in Roma e precisamente nei due rilievi della «Profectio» e della «Lustratio»7, cui è da associare l’effigie altrettanto significativa del rilievo con «Sacrificio» nel Museo dei Conservatori8, in cui il generale appare inquadrato fra Marco Aurelio e il Genio del Senato. In queste sculture, come nel marmo veneziano, una bassa capigliatura copre la scatola cranica scendendo a frangetta sulla fronte, attraversata da lunghe e profonde rughe orizzontali. Sotto le sporgenti arcate sopracciliari, segnate da brevi tratti graffiti, s’affondano gli occhi con l’iride e le pupille incise e lo sguardo volto verso il basso con intensità. Le guance scarne con gli zigomi sporgenti, le gote solcate da pieghe e infossamenti, il naso grosso ed aquilino, la bocca con le labbra tumide e semiaperte, la barba e i baffi folti e pastosi, completano la peculiare visione somatica dell’effigiato con notevole forza di caratterizzazione. Elementi ugualmente qualificanti, ma diversi nell’interpretazione stilistica, denotano le effigi dell’illustre genero dell’imperatore, riconosciuto nei pannelli aureliani intitolati «Adlocutio», «Prigionieri», «Sottomissione di barbari», «Rex datus»9, che echeggiano forse il tipo scolpito soprattutto nelle scene XXXII e XXXVIII della colonna10.
Si tratterebbe qui di una serie di opere di due diversi scultori, che, pur attenendosi nelle linee essenziali al modello ufficiale, rivelano tuttavia capacità tecnico-formali individuali e opposte, ma legate allo spirito informatore delle creazioni della colonna coclide. Il gruppo di opere vicine al nostro ritratto, risalente ad uno stesso prototipo, che si potrebbe chiamare A, manifesta una visione in cui la linea incisa o l’intaglio secco della capigliatura o delle rughe, i colpi di trapano che ad intermittenze affondano nella barba, offrono un modellato tormentato ma ancor plastico, contrastato da giochi coloristici pregni di contenuto profondamente umano e drammatico; il secondo gruppo, che si rifà ad un altro prototipo, che si potrebbe chiamare B, offre invece incisioni meno profonde e chiaroscurate, una forma dura e tendenzialmente stereometrica, un’espressione più intenta che patetica.
Da queste considerazioni critiche, pare lecito arguire alla fine anche la provenienza del marmo veneziano, la cui realizzazione solo in Roma avrebbe senso e valore e piena giustificazione storica e artistica.
G. Valentinelli, Catalogo dei marmi scolpiti del Museo Archeologico della Marciana di Venezia, in «Atti del R. Istituto Veneto SS. LL. AA.», serie III, voll. VII—
H. Dütschke, Antike Bildwerke in Oberitalien, V, Leipzig 1882, p. 65, n. 175;
J. J. Bernoulli, Römische Ikonographie, I—
G. Pellegrini, Descrizione degli oggetti antichi componenti la sezione classica del Regio Museo Archeologico di Venezia, vol. I, Venezia—
C. Anti, Il Regio Museo Archeologico nel Palazzo Reale di Venezia, Roma 1930, p. 160, n. 9;
G. Traversari, in Arte Antica e Moderna, n. 34—
Fot.: Fotografia del Museo Archeologico di Venezia, 1707 A—
Data: museum annotation.
© 1968. Description: Traversari G. Museo Archeologico di Venezia. I ritratti. Poligrafico dello Stato, Roma, 1968. P. 77—78, cat. no. 60, ill. 60 a—c.