Planimetry of the House of the Vettii.
Pompeii, Archaeological Park, House of the Vettii (VI. 15. 1)
(Pompei, Parco Archeologico, Casa dei Vettii (VI. 15. 1)).
b — fauces | fauci
c — tuscan atrium | atrio tuscanico
d — cubiculum | bedroom | cubicolo
e — triclinium | oecus (02) | triclinio (06)
h — south (left) ala | ala meridionale (sinistra)
i — north (right) ala | ala settentrionale (destra)
l — peristylum | colonnade of the peristyle
m — garden | giardino
n — triclinium | dining room | oecus-pinacoteca (02) | esedra-pinacoteca meridionale (06)
p — triclinium | dining room | triclinio (02) | oecus-pinacoteca (02) | esedra-pinacoteca settentrionale (06)
q — oecus (02) | grande cenatio (06)
s — small peristyle
t — triclinium | dining room | triclinio
u — cubiculum | bedroom | cubicolo
v — atrium with old impluvium and lararium, surrounded by slave rooms and utility rooms | atriolo con il vecchio impluvio e larario, circondato da quartiere rustico e servile
w — kitchen with hearth | cucina con focolare
x’ — cook’s room | cubicolo del cuoco (02) / piccolo cubicolo (06)
β — large service entrance (which was probably used as a shop), with latrine | largo ingresso di servizio (che probabilmente era adibito a bottega), con latrina
γ — corridor with staircase | corridoio con scala
δ — stable | stabile
ο — small inaccessible room, where there was a disused Samnite well, full of ancient debris | piccolo vano inaccessibile, dov’era un pozzo sannitico fuori uso, pieno di rottami antichi
5 — room for privacy | quartierino appartato
(02) = E. La Rocca, A. e M. de Vos. Pompei. 2002.
(06) = F. Pesando, M. P. Guidobaldi. Pompei, Oplontis, Ercolano, Stabiae. 2006.
VI 15, 1. Casa dei Vettii
Due sigilli di bronzo — A. Vetti Restituti e A. Vetti Convivaes, con anfora incisa nel castone del primo e un caduceo nel secondo — trovati presso la cassaforte davanti alla parete sinistra dell’atrio, e due scritte elettorali all’esterno, fanno attribuire questa casa ricca a persone del ceto dei liberti. Vettius Conviva, citato fra i testimoni in una delle tavole cerate del banchiere L. Caecilius Iucundus (si veda alla pagina 320), era Augustalis; il che presuppone che fosse pieno di soldi, visto l’obbligo p.281 fatto ai seviri di versare una summa honoraria destinata a opere pubbliche, e che facesse parte di una specie di seconda oligarchia locale, accanto all’ordo municipale. I Vettii risultano, infatti, novi homines dell’ultimo periodo di Pompei.
L’inizio dello scavo risale al settembre 1894; la casa venne successivamente ricoperta di travi e tetti, e per questo la sua decorazione eccezionale è conservata in buono stato. L’impianto doppio a due atri è di vecchia data, come appare dai capitelli a dado nel portale d’ingresso, dalle proporzioni monumentali della parte anteriore della casa, e dall’impluvio in tufo nell’atriolo (v). Ma la casa è stata ristrutturata forse in occasione della vendita ai Vettii intorno alla metà del I secolo d. C., e poi — dove necessario — ripristinata dopo il terremoto del 62 d. C. L’ingresso è diviso fra vestibolo (a) con portone in fondo e una porticina secondaria subito a destra, che limitava l’uso del portone pesante, e fauci (b). Le fauci sono dipinte a fondo scuro, su cui spicca un quadretto monocromo con galli combattenti (nella parete sinistra); una pecora con gli attributi di Mercurio, una borsa di denaro e un caduceo (nella parete destra). Accanto allo stipite destro della porta sull’atrio è una figura di Priapo (custodita da una cassetta lignea moderna, a sportello), il cui fallo gigante serve a cacciare il malocchio proprio sul limitare. Per accentuarne la carica il membro è deposto sulla coppa di una bilancia, mentre sull’altra grava una borsa piena di soldi.
Sullo stucco bianco della parete sinistra del vestibolo un graffito ricorda il prezzo di una prostituta greca, Eutychis, brava, distinta (moribus bellis); nonostante ciò non costava di più della tariffa normale, e cioè due assi (il costo di due boccali di vino comune).
Nell’atrio tuscanico (c) mancava quasi completamente il rivestimento di marmo del profondo impluvio (quello che vediamo ora è di restauro moderno). Gli ambienti di soggiorno erano stati già visitati da scavatori antichi, che si sono fermati però davanti al peristilio tuttora pieno di sculture. I pavimenti sono abbastanza semplici in tutta la casa: battuti di lavapesta o cocciopesto. Ai due lati dell’atrio stava una cassaforte su apposito basamento in muratura, che doveva sostenere il fondo della cassa e proteggerla dall’umidità. Erano rivestite di ferro, con chiodi e ornamenti di bronzo.
p.282 La decorazione parietale è di una rara finezza e varietà. Da “finestre” aperte nello zoccolo sorgono bambini intenti a compiere atti sacrificali in onore delle divinità della casa: i penati, tradizionalmente venerati nell’atrio. La natura di questi viene precisata nel fregio soprastante, con amorini che giocano con vari attributi, in scene disposte sui pilastri in modo da formare dei pendant. In quelli ai lati dell’ingresso vediamo amorini su bighe tirate da delfini, sovrastate da un candelabro dal piede poderoso riccamente ornato di tralci d’oro, e collocato in un’esedra a pluteo, lavorato a giorno. I pilastri fra (d) e (e), e fra (k) e (v) mostrano amorini che si combattono cavalcando caproni; il piede del candelabro è qui provvisto di due prore di nave, mentre sul fusto (vegetale) appaiono i grifi e la lira di Apollo. I pilastri tra (f) e (h), e tra (g) e (i) fanno vedere un carro, l’uno con attributi di Bacco e l’altro con quelli di Mercurio; il candelabro è formato di tre verghe metalliche, che si intrecciano a spirale, mentre il piede d’oro mostra una figura che esce da tralci, che abbevera due pantere. I pilastri dell’ingresso al peristilio espongono amorini allusivi alla Venere marina, che cavalcano l’uno un granchio, l’altro una aragosta, tenendo le redini e la frusta. Nella parete dietro la cassaforte destra fra (v) e (g) vediamo nel fregio dello zoccolo un sacrificio a Fortuna, seduta dietro al timone e al globo; nella predella della zona mediana una caccia minuta con cinghiale e cervo assaliti p.283 da cani (allusiva a Diana); più in alto un paniere pieno di vasi, e due figure di Psiche.
Il cubicolo (d) sfoggia tutt’altra decorazione, con un fregio continuo che mostra un vivaio di pesci commestibili pregiati (dentici, triglie, labridi, aragoste). La parete di fondo presenta un esempio raro di restauro antico: il quadretto centrale, appartenente a una fase decorativa anteriore, è stato p.284 risparmiato e rinsaldato con chiodi lungo l’orlo della sutura fra rintonaco proprio e quello successivamente aggiunto. Purtroppo l’immagine alla quale si teneva tanto, non è più leggibile. Nella parete destra, il quadretto raffigura Leandro che nuota nell’Ellesponto, e il servo che custodisce i suoi vestiti. Leandro si dirige verso l’amata Ero, sacerdotessa di Afrodite, sulla riva opposta, che l’attira di notte a mezzo della lampada accesa in cima all’alta torre, finché un vento di burrasca non spense la fiamma e il mare grosso travolse Leandro. La mattina dopo, Ero, raggiunto il cadavere dell’amato, si tolse la vita accanto a esso.
Nel quadretto della parete sinistra, Arianna svegliata da un amorino, con la mano portata alla bocca in atto di sgomento, scopre di essere stata abbandonata da Teseo a Nasso (si veda alla pagina 204). L’oecus (e) a esili architetture teatrali minutamente ornate, mostra nella parete d’ingresso un quadro con Ciparisso: giovane cacciatore amato da Apollo (al quale accenna il tripode), che senza volerlo uccise il cervo preferito del dio. Apollo lo trasformò poi nel cipresso omonimo, del quale qui già porta il cono in testa (poco visibile).
Dall’alto guarda una personificazione dello scoglio, con due rami nella mano sinistra, che alludono alla metamorfosi. (I cinque quadri pompeiani dedicati a questo soggetto sono finora le uniche raffigurazioni di sicura interpretazione che conosciamo di Ciparisso nel mondo antico.)
Nella parete di fondo Bacco e Arianna, ormai non più sola, assistono alla lotta fra Amore e Pan. Nella zona superiore della parete sinistra, traforata dagli scavatori antichi, assistiamo agli amori fra Giove (in trono) e Leda (seduta col cigno), e Giove e Danae (che si slaccia la veste in attesa della pioggia d’oro).
Accanto a questo oecus (e) si apre il corridoio (γ), con scala agli ambienti superiori; nel sottoscala sono stati trovati elementi in bronzo di un finimento di cavallo, e due briglie: Luna col morso, l’altra con il marchio di fabbrica Pilonius Felix. La stalla si trovava infatti nell’ambiente (δ), accanto al largo ingresso di servizio (che probabilmente era adibito a bottega). L’unica latrina del pianterreno era vicina a quest’ingresso, nel piccolo vano appartato a ovest della porta (oggi rimpiazzato dalle scalette). (I signori si facevano portare un vaso [matella] o una sedia bucata [lasanum] dai servi, per non dover scendere nei buchi angusti dei quartieri di servizio, come ci informa Petronio, Satiricon, 27; 41, 47. Dietro la scala rimane un altro piccolo vano inaccessibile, dov’era un pozzo sannitico fuori uso, pieno di rottami antichi.
Le alae hanno la stessa raffinatezza di decorazione dell’atrio, benché più semplici: a tappeti sospesi, con al centro quadretti agonistici (galli combattenti, vasi e rami di palma da destinarsi a premio), e medaglioni con teste di Medusa, Satiro e arieti.
Il quartiere rustico e servile è concentrato intorno all’atriolo (v) con il vecchio impluvio, e tutto grezzo eccetto il sontuoso larario ben conservato sotto la nicchia a due semicolonne corinzie e timpano ornato di oggetti cultuali (patera, coltello, bucranio) in rilievo di stucco. All’interno il Genio con la toga praetexta, che gli copre la testa, si presenta in atto di libare con la patera e la cassetta contenente l’incenso, con a fianco due Lari danzanti.
Il Genio è un demone legato alla persona, al padrone di casa; mentre il Lare è legato alla terra. Ogni persona ha un suo genio — le donne una Iuno — che ne custodisce la forza generatrice e i valori trascendentali: esso viene generato e muore allo stesso momento dell’uomo, e vive p.285 strettamente connesso con lui. Nelle ricorrenze del giorno di nascita gli si offre del vino, incenso e altri doni incruenti (quali focacce). Il serpente, che spesso troviamo dipinto sotto il sacello domestico — anche accoppiato con una serpe, da cui è distinto dalla cresta, gli è sacro (simbolo della forza generatrice) e gode anch’esso dell’attenzione dell’uomo: qui esso si dirige verso l’altare sul quale sono un uovo e qualche frutta. Tali serpenti sono dipinti pure sui muri esterni, che così sono protetti.
Il Lare originariamente è una divinità agreste, anche se il significato preciso del nome ci sfugge. Ma come ogni casa aveva la sua Vesta (protettrice del focolare), così ogni pezzo di terra aveva un suo Lar: detto familiaris perché venerato dalla familia dei servi che lavoravano i campi. E sembra che proprio così, attraverso questi fautori, il suo culto sia penetrato dentro l’ambito della casa.
I Lares si presentano anche in due, a Pompei spesso disposti simmetricamente ai lati del Genio al centro — come in questo caso —
Associati a loro troviamo anche i Penates, divinità protettrici del penus (la dispensa dei viveri), e perciò del benessere generale della casa.
Sulla parete d’ingresso dell’atriolo (v) è stato graffito: Eros cinedae, offesa a uno schiavo, Eros, omosessuale (poi cancellata).
Sul focolare della cucina (w) stanno i treppiedi ivi trovati, e cinque caldaie di bronzo trovate accanto, con altro vasellame di bronzo; più dieci vasi e un bacino di terracotta. È qui che era depositato il torso della statua marmorea di Priapo; mentre la testa, spezzata in due, il fallo e il pilastrino con l’unguentario vennero raccolti nell’ambiente (r), sul peristilio. Ora la statua è esposta nel cubicolo (x’), che si crede sia stato del cuoco.
Essa funzionava nel giardino quale fontana (il fallo è traforato).
I tre quadretti erotici nel cubicolo (x’) sono dipinti alla brava come nei bordelli. Incuriosisce la civetta dipinta accanto alla nicchia. Dietro l’ala destra si apre sul peristilio il triclinio (p), decorato dagli stessi pittori della Casa di Pinarius Cerialis e del Macellum. Il pavimento è un semplice battuto di frantumi di travertino, allettati in stucco. Sopra lo zoccolo a imitazione di marmo, si dispongono quadri mitologici, al centro, con Stagioni in volo, accompagnate da satiri ai lati. Sopra la porta verso (i) è invece Pan che, sollevandogli la veste, si meraviglia di Ermafrodito. Il tutto appare con vedute architettoniche inframmezzate, cariche di “soprammobili”; mentre nella zona superiore si articola un’architettura teatrale con divinità (Apollo, Fortuna, Bacco) al centro, e con ninfe e eroi ai lati.
Il pregio delle pareti sta soprattutto nell’ornamento, il cui esecutore ha superato il maestro dei quadri. Il suo virtuosismo si vede nei cavalli e buoi marini, che emergono dallo zoccolo sotto i quadri figurati. Sui gracili tralci sovrastanti camminano pantere, cervi e leopardi. Nei tramezzi sotto le vedute architettoniche, busti monocromati di Minerva sorgono da calici floreali; sui tramezzi posano quadretti di forma allungata, con scene di battaglia fra navi in assetto di guerra, o xenia (si veda alla pagina 330), che sostengono a loro volta simboli, dionisiaci: maschere drammatiche (nella parete di fondo) e satiresche, appoggiate a una cista mistica (vannus), con fallo avvolto fra corni potori.
Nelle architetture appaiono Pegasi e bighe in funzione di acroteri.
Le colonne delle edicole p.286 centrali sono coperte di tralci metallici e di rilievi (figure sporgenti di dèi, che combattono i Giganti).
Nel quadro della parete sinistra vediamo Dedalo nell’officina, che mostra a Pasifae (moglie del re Minosse di Creta) la vacca lignea, ideata da lui. Innamorata di un toro, Pasifae volle unirsi a lui in quell’involucro, generando così il mostruoso Minotauro. Il quadro della parete di fondo rammenta un’altra unione con conseguenze catastrofiche: quella di Issione infiammatosi di Hera, sostituita in tempo da una nuvola formata da Zeus: da questo connubio nacquero i centauri. Zeus fece legare con serpi Issione a una ruota che girava per lo spazio, costruita da Efesto: questi è qui rappresentato in atto di metterla in moto, in presenza di Hermes (che assomiglia a Nerone, ed è il messaggero del supplizio) e di Nera in trono, alla quale Iside sembra indicare la scena. Sul gradino è seduta una donna, forse Nefele, che guarda Hermes come per implorare pietà. Che i vincoli amorosi fra divini e mortali non sempre siano destinati a finir male, mostra il quadro nella parete destra, con Bacco che scopre Arianna, distesa nel sonno su una pelle di tigre. La nave di Teseo si allontana in fretta. È l’episodio susseguente a quello raffigurato nel cubicolo (d). Vicino a questo, giustamente famoso “salone di Issione”, si apre un piccolo appartamento che ha tutta l’aria di essere un gineceo (destinato alle donne). Esso è imperniato su un cortiletto (xystus) con un piccolo giardino, i cui intercolumni venivano chiusi da finestre con stipiti di legno, e con davanzali di marmo.
Nel triclinio (t) è una replica frammentaria di Achille in Sciro (si veda alla pagina 300), nella parete di fondo. Nella parete destra il tema della sorpresa è ripreso con una delle quattro repliche pompeiane di Ercole, ebbro, che fra poco sorprenderà Auge, figlia del re di Arcadia, fattasi sacerdotessa di Athena — della quale qui è in atto di lavare il peplo sacro — per sfuggire all’oracolo che la volle madre di un figlio parricida. Colta all’improvviso da Ercole, diventerà la madre di Telefo.
Nei pannelli laterali figurano le Stagioni in volo entro medaglioni. Il cubicolo (u) comunicante attiguo, è semplicemente ornato a fondo bianco con qualche figura di amorino e Psiche volante. Il più rinomato complesso pittorico della casa — e di tutto il periodo — è dentro l’oecus (q), aperto con ampio ingresso sul peristilio (ora chiuso a mezzo di scuri, per la protezione del delicato e prezioso rosso cinabro; vi si accede per una porticina laterale nel muro contiguo fra (r) e (q)). La soglia è formata da un meandro in mosaico di tessere bianche e nere; il pavimento bianco a bordo nero è stato restaurato già in antico. Nella decorazione parietale mancano i quadri figurati, asportati per essere rimpiazzati, o più antichi e incastrati in un telaio ligneo consumatosi successivamente, caduti e sbriciolati. I chiodi di attacco sono comunque visibili nella parete di fondo. Nei p.287 pannelli laterali vediamo leggiadri gruppi di coppie divine in volo (accanto all’ingresso invece l’Ermafrodito itifallico che suscita la meraviglia di Sileno); nella zona superiore poeti fra Muse, con baccanti e satiri musicanti. Nello zoccolo, sotto i candelabri o tripodi della zona mediana, stanno sacerdotesse, Amazzoni, una baccante e un satiro. Sopra le quattro Amazzoni si inseriscono pinakes (quadretti a sportello) con scene di sacrificio a Diana, sopra gli altri invece scene con Psychai alla raccolta di fiori.
Nella predella soprastante abbiamo un elenco interessante — in tredici scomparti — dei vari mestieri (e delle attività sportive) praticati in atteggiamenti vivaci da amorini e Psychai, che manifesta la presenza della mano d’opera in campo femminile. A destra dell’ingresso principale si gioca al tiro a segno. Nella parete est (da destra a sinistra): fiorai e coronari intenti al trasporto di rose sul caprone guidato dal giardiniere; la vendita all’ingrosso delle corone a un signore e la preparazione di esse, appese a una specie di lungo rastrello. Una serva viene a comprare ghirlande per un sacrificio, come implica il piatto nella sua mano.
Seguono la fabbricazione e lo smercio di olio profumato: prima vediamo la pressa su una base quadrata di pietra: due amorini battono con lunghi martelli sui cunei introdotti fra le tavole. L’olio cola in un bacino per un incavo, e una Psiche lo rimescola poi nel recipiente messo sul fuoco. Due colleghi fanno lo stesso in un recipiente conico di pietra. Sul bancone stanno un rotolo — per far i conti, o con ricette per la preparazione di profumi — e una bilancia. L’olio si vende a peso.
Nell’armadio retrostante, a due battenti, abbondano bottiglie e altri recipienti. Una signora seduta su uno sgabello con posapiedi prova il profumo applicatole sulla mano. Essa è servita da un amorino con una bottiglia sotto il braccio, e assistita dalla serva che le sta dietro con il ventaglio sulle spalle.
Segue una corsa nel circo di quattro bighe tirate da antilopi, le mete sono indicate da tre alberi. La prima biga, della fazione verde (favorita da Nerone), vince la palma, mentre l’auriga della seconda è cascato, perché le ruote si sono staccate.
Segue l’arte degli orefici: un cesellatore sta lavorando una scodella d’oro o dorata, accanto al forno quadrato sormontato dalla testa di Vulcano (dio protettore del fuoco e della metallurgia). Una Psiche ravviva il fuoco soffiando in un cannello p.288 ferruminatorio, per saldare un oggetto metallico. Un amorino adorno di anelli ai polsi e ai piedi, seduto su un altro sgabello con posapiedi, sta martellando su un’incudine. Al centro troneggia il banco di vendita, con quei gradini per la mostra che si vedono nelle tabernae di Pompei. Un inserviente guarda attentamente la bilancia e la cliente dai vestiti sfarzosi aspetta con calma il risultato, seduta su una sedia con i piedi sul suppedaneo. Altri due amorini dietro di lei stanno lavorando con martello e tenaglie alle incudini.
L’ultima scena di questa parete è costituita dai follatori: illustrazione utile dei lavori, che si svolgevano nelle fullonicae (si veda alle pagine 198—
Al centro due amorini al torchio (prelum), del tipo di quello (ripristinato) della Villa dei Misteri (si veda alle pagine 354—
Vindemitores figurano in un manifesto elettorale sulla caupona di fronte a Porta Vesuvio, ma non è chiaro se un tale gruppo di lavoratori stagionali formasse una corporazione per tutto l’anno. Gli agronomi latini raccomandano comunque la mano d’opera stagionale, più economica che non il mantenimento di schiavi che bisogna nutrire e curare tutto l’anno, anche quando sono malati. Segue la conseguenza logica della vendemmia: il trionfo di Bacco sdraiato su un carro tirato da caproni. Pan itifallico suona la doppia tibia, unica figura di tutto il fregio che non sia Erote o Psiche. Il corteo si chiude con un amorino che balla, tenendo in bilico un grande cratere sulla spalla; stupisce la maestria del decoratore, che ha saputo rendere a meraviglia il movimento. I vinai versano vino dalle anfore in un recipiente, che l’oste avvolto in una pelle di animale e dall’aspetto contadinesco reca al cliente elegante. Gli scavi nella zona verde vicina all’Anfiteatro hanno mostrato infatti, che i caupones (gli osti) vendevano vino anche di produzione propria, se c’era spazio per una vigna. Alcuni vorrebbero i Vettii coltivatori di vigne e produttori di vino, in base a queste pitture; ma come spiegare il resto? Nell’ambiente (o) erano depositate tre anfore dello stesso tipo con iscrizioni, ma che menzionano — oltre alla data del travasamento — le vigne delle tenute degli Arrii e degli Asinii, che non necessariamente dobbiamo supporre in possesso dei Vettii. (Qui si trovò anche una quarta anfora con la scritta gustacium, che doveva contenere un vino bevuto con la gustatio, cioè l’antipasto: e che è vinum mulsum, condito di miele).
L’ispirazione e il repertorio del ciclo degli amorini sono senz’altro ellenistici, ma l’interesse concreto nelle cose della vita di ogni giorno, la caratterizzazione dei tipi — quali il contadino, l’operaio, il signore, l’oste, la serva e così via — e il dettaglio preciso sono esemplari del gusto romano: l’invenzione originaria non è più riprodotta pedissequamente, ma ripensata e reinventata attraverso un temperamento diverso.
p.289 Il giardino rettangolare sovrabbonda di sculture marmoree e bronzee, e di vasche — una circolare per angolo e una rettangolare per lato, nelle quali l’acqua, portata dall’angolo sud-est del portico (tubatura quasi completamente intatta), veniva versata da dodici statuette (nove delle quali sono state ricuperate). (L’acqua piovana non era più raccolta nel 79 d. C.: le bocche di cisterna sono state trovate chiuse). Nell’area del giardino troviamo altre due fontanine, due ermette a doppia testa (Sileno e Baccante, Bacco e Arianna), tavole di marmo; le aiuole conservano la loro disposizione antica.
Le pareti del peristilio sono scompartite secondo un’alternanza rigida di pannelli e vedute architettoniche, come al solito senza riguardo all’impianto delle colonne. Al centro dei pannelli si trova ora una natura morta ora una figura: nella parete sud appare un poeta o filosofo con scrinium (scrigno) contenente due rotoli, l’autore preferito del padrone di casa o forse anche lui medesimo in atteggiamento dotto; fra l’ala destra (i) e l’oecus (p) appare la Musa Urania nell’atto di insegnare indicando un punto sul globo.
L’oecus (n), come già (p), è stato ideato quale pinacoteca, benché non — come si deve, propter constantiam luminis inmutata qualitate («per evitare l’esposizione alla troppa luce, che cambia i colori»; Vitruvio, VI, 4, 2) — aperto verso nord ma in direzione del portico, e quindi non direttamente esposto alla luce. Esso si distingue per gli scomparti laterali in prospettiva, nei quali appaiono magnifici edifici a due piani con pergole. Nei quadri figurati al centro delle pareti si ricordano tre episodi di “storia” tebana, in chiave ammonitrice: l’ordine olimpico va rispettato, pena la punizione dei figli del dio supremo. Nel quadro a destra Zeto e Anfione, figli di Giove e Antiope, vendicano la schiavitù in cui Dirce aveva tenuto la loro madre per lunghi anni, legandola a un toro che poi lasceranno in libertà. Asinius Pollio, homo novus, amico di Cesare (console nel 40 a. C.), aveva fatto portare da Rodi un famoso gruppo scultoreo di fattura microasiatica dello stesso soggetto; il “toro Farnese”, trovato nelle Terme di Caracalla (ora nel Museo Nazionale di Napoli), ne è la copia molto restaurata. Sulla parete di fondo re Penteo, offensore di Dioniso, sta per essere ucciso dalle Baccanti, di cui quella al centro in alto solleva una grossa pietra. Infine — come nell’oecus (p), nel quadro con la storia di Arianna — c’è un episodio a lieto fine: Ercole Bambino che strozza i serpenti mandatigli da Giunone, quando ebbe otto mesi. Egli è figlio di Giove (qui presente nell’aquila sull’altare) e di Alcmena, che fugge p.290 spaventata alle spalle del marito, Anfitrione, che sta per raccogliere il piccolo.
Casa dei Vettii (VI, 15, 1. 27)
Data di scavo: 1894—Appartenuta ai ricchi fratelli A. Vettius Restitutus e A. Vettius Conviva, esponenti di spicco del ceto libertino nell’ultima fase di vita della città (A. Vettius Conviva era un Augustalis), la casa contiene uno dei più noti insiemi di pitture di IV Stile.
L’ingresso da Vicolo dei Vettii era del tipo a pròthyron, con lo stipite dell’anta di servizio decorata da un Priapo itifallico, garante di prosperità agli abitanti della casa. Di differente livello qualitativo sono le pitture presenti nel settore dell’atrio; il cubicolo (d), destinato probabilmente all’ostiarius, presenta pitture di carattere piuttosto corsivo, con il fregio superiore decorato da una natura morta con pesci e quadri nelle pareti nord e sud raffiguranti Leandro in nuoto verso l’amata Ero e Arianna svegliata da un Amorino. Di qualità notevolmente superiore è la pittura a fondo bianco del triclinio (e), con Giove, Leda e Danae nella zona superiore, e i quadri con la Metamorfosi di Ciparisso e la Lotta tra Eros e Pan alla presenza di Dioniso e Arianna; in essi si evocava esplicitamente il clima di ansia, di letizia e di trasfigurazione insito nell’esperienza amorosa. Molti dei soggetti raffigurati nelle pareti dell’atrio sono collegati alla funzione dell’ambiente: le figure di fanciulli intenti a compiere sacrifici ai Penati presenti nello zoccolo rimandano al culto degli antenati, da sempre connesso a questo ambiente della casa, mentre la scena con Amorini sacrificanti alla Fortuna è opportunamente inserita in corrispondenza della grande arca bronzea addossata al muro nord, dove erano p.200 conservati gli oggetti preziosi della casa. Molto semplici erano le pitture delle alae, fra loro identiche, nelle quali l’uniforme fondo giallo è decorato da piccoli quadretti con nature morte e soggetti di carattere simbolico; la trasformazione dell’ala meridionale (h) in armadio a muro durante l’ultima fase edilizia permette di datare entrambe le pitture a un periodo anteriore al 62.
Attraverso una porta situata nell’angolo nord-orientale dell’atrio si giunge al settore di servizio; addossato alla parete occidentale dell’atriolo (v) è il larario dipinto (Genius Loci affiancato da Lari danzanti), mentre sul fondo si trovano il bancone della cucina con esposta parte del vasellame da fuoco utilizzato per la cottura dei cibi e il piccolo cubicolo funzionante da postribolo (x’), la cui destinazione è chiaramente indicata dalla serie di pitture pornografiche che decorano le pareti; qui doveva ricevere la schiava Euthychis, il cui nome e relativo costo (due assi) compare graffito su una parete dell’ingresso della casa.
Di grande impegno decorativo sono gli ambienti affacciati sul peristilio, accessibile direttamente dall’atrio attraverso tre porte. I grandi pannelli neri del portico sono decorati da figure, tra le p.201 quali sono riconoscibili Urania e un poeta, allusione trasparente alle attività intellettuali che in esso si svolgevano. Le due esedre, poste simmetricamente ai lati dell’ingresso al peristilio, contengono quadri d’ispirazione classica e offrono un’idea di ciò che poteva essere una pinacoteca privata.
L’esedra meridionale (n), a fondo giallo con scorci archi tettonici nei pannelli laterali, mostra a nord un quadro con la raffigurazione di Ercole infante che strozza i serpenti inviati da Giunone, in presenza Alcmena, di Anfitrione e del padre Giove, qui simboleggiato dall’aquila appollaiata sull’altare. Sulla parete opposta Anfione e Zeto legano a un toro Dirce, la regina che per lunghi anni tenne in schiavitù la loro madre. Nella parete principale, posta di fronte all’ingresso, era invece il cruento epilogo della rivelazione dionisiaca: il re Penteo è afferrato per i capelli dalle Menadi che gli scagliano addosso delle pietre.
Nella simmetrica esedra-pinacoteca (p), le pareti, ornate alle estremità e nella zona superiore da pesanti e articolate scenografie architettoniche, presentano anch’esse il campo centrale occupato da grandi quadri. In quello di sinistra è raffigurato Dedalo che consegna la vacca lignea a Pasifae. Nella parete centrale, in corrispondenza del punto in cui nella zona superiore è visibile una divinità seduta con in mano una cornucopia (Concordia?), è il quadro con il Supplizio di Issione: l’empio re tessalo, colpevole di avere insidiato Giunone, è legato alla ruota alla presenza di Mercurio, Giunone, Vulcano, Iride, mentre nella figura femminile in atteggiamento supplice ai piedi di Mercurio è stata riconosciuta Nefele, la nuvola inviata da Giove per ingannare Issione, dalla quale nasceranno i semiferini Centauri. Nella parete meridionale il quadro introduce alla serena unione fra un dio e una mortale: Dioniso scopre Arianna addormentata su una pelle di tigre (simbolo dei confini del mondo raggiunti dal festoso corteo del dio) mentre la nave di Teseo sta abbandonando le coste di Nasso.
Molteplici sono state le proposte di lettura del ciclo pittorico riprodotto nelle due esedre. È possibile che con esso si sia voluto contrapporre l’armonia del sereno rapporto dell’uomo con il mondo divino all’empio comportamento di quanti aspirano a superare i limiti umani, peccando così di hybris: atteggiamento morale quanto mai giustificato per un esponente del locale collegio degli Augustali dopo le mostruosità e gli eccessi del periodo neroniano. Nell’angolo nord-orientale del peristilio si apre un quartierino appartato (5), una sorta di conclave organizzato intorno a un atriolo, dove l’ambiente più importante è decorato con quadri dal contenuto dichiaratamente erotico (Auge sorpresa da Ercole ebbro) o iniziatico (Riconoscimento di Achille a Stiro).
p.202 Al centro del portico settentrionale si apre la grande cenatio (q), che doveva sostituire il tablino, abolito al momento della ristrutturazione dell’atrio. La calda superficie rossa, con coppie di figure in volo nei pannelli laterali, presenta al centro di ciascuna parete l’impronta lasciata dai quadri; poiché non furono staccati al momento dello scavo e sembra difficile che non fossero stati ancora eseguiti nel 79, è molto probabile che questi fossero dipinti su un supporto ligneo — come è documentato nel tablino della Casa di Marco Lucrezio — e che siano andati distrutti durante l’eruzione. La notorietà dell’ambiente risiede nel fregio a fondo nero che separa la zona inferiore della parete da quella mediana. Amorini ed eteree Psychai si affaccendano in tutte le principali attività produttive dell’epoca: dalla mescita del vino alla pulitura delle vesti, dalla coltivazione di fiori alla vendemmia, dall’oreficeria ai lavori svolti nella fucina di un fabbro, dalla panificazione alla produzione di profumi. Tra le scene compaiono anche raffigurazioni di genere, tratte dal repertorio ellenistico, come la gara di tiro con l’arco e la corsa dei carri, che vede gli Amorini come buffi protagonisti, e l’immancabile Trionfo di Dioniso che chiude la scena della vendemmia.
Un sovrabbondante arredo scultoreo decora il viridarium e gli intercolumni del peristilio, proponendo tutti gli oggetti più tipici della decorazione da giardino in voga in età imperiale: getti di fontana a forma di fanciullini, statue di Satiro, di Dioniso, di Priapo, erme di vario tipo, bacini di fontane in marmo e grandi tavoli per l’esposizione delle ricche suppellettili da usare nel corso dei banchetti.
© 2002. Description (1): E. La Rocca, A. e M. de Vos. Pompei. Mondadori, Milano, 2002. P. 280—290.