Jupiter with the aegis
Parian marble.
2nd—3rd cent. CE.
H. 1.65 m, inscribed plinth 11.5 cm, letters 3—2.2 cm.
Inv. No. 324751.Rome, Roman National Museum, Baths of Diocletian, Small Cloister of the CertosaPhoto by Ilya Shurygin

Jupiter with the aegis.

Parian marble.
2nd—3rd cent. CE.
H. 1.65 m, inscribed plinth 11.5 cm, letters 3—2.2 cm.
Inv. No. 324751.

Rome, Roman National Museum, Baths of Diocletian, Small Cloister of the Certosa
(Roma, Museo nazionale romano, Terme di Diocleziano, Chiostro piccolo della Certosa).

Origin:
Rome, piazza del Cinquecento, left corner with via Cavour, 1977.
Description:

Italiano 5. Statua di Giove Egioco

Marmo pario; alt. 1.65 m; plinto iscritto 11.5 cm, alt. lettere 3—2.2 cm; inv. 324751.

Roma, piazza dei Cinquecento, edificio a sinistra dell’imbocco con via Cavour (1977).

Iovi Optimo Maximo Neratius Palmatus vir clarissimus loci dominus conditorque.

La statua raffigura Giove stante, con il corpo appoggiato sulla gamba destra, aderente a un puntello a forma di tronco d’albero, e la sinistra flessa; del braccio destro rimane solamente la parte superiore, mentre il sinistro è interamente coperto dall’egida che ricade dalla spalla. L’egida ha la superficie squamata, con bordi ondulati e consueto gorgoneion centrale. La capigliatura, resa con voluminose ciocche, si distribuisce da una scriminatura centrale ai due lati della fronte e intorno alle tempie, scendendo quasi fino alle spalle; sopra la fronte tre ciocche si dipartono verso l’alto a formare un corposo ciuffo che va a fondersi con il resto della capigliatura. Baffi spioventi e una folta barba, anch’essa caratterizzata da fitte ciocche e da un uso marcato del trapano corrente, incorniciano una bocca dalle labbra carnose e lievemente socchiuse. Il volto presenta occhi dalle iridi non segnate, il naso regolare. Lievi tracce di doratura sono riconoscibili a sinistra del naso, nella parte superiore dei baffi e nell’angolo dell’occhio sinistro.

Dal punto di vista iconografico, il tipo di Giove con egida è scarsamente testimoniato nella produzione statuaria imperiale. Un confronto piuttosto puntuale è tuttavia rappresentato da una statua proveniente da Utica e conservata nel Museo Nazionale di Antichità di Leiden (Brants 1927, I, p. 2, n. 5, tavv. III—IV) che si differenzia da quella in esame solamente per una minore arretratezza della gamba sinistra e per la presenza dell’aquila sul puntello.

Le caratteristiche stilistiche e iconografiche sembrano ricondurre a produzioni urbane del II—III secolo d. C. in cui è evidente la contaminazione di diversi modelli della statuaria greca, dalla struttura del corpo di impronta policletea alla proporzione lisippea tra le dimensioni del corpo stesso e quelle della testa (sul tipo di Giove Egioco e sulle caratteristiche stilistiche, Jacopi 1980, pp. 18—20).

Claudio Borgognoni

La scultura fu rinvenuta all’interno di un edificio caratterizzato da differenti fasi costruttive, l’ultima delle quali databile al IV secolo d. C.: essa era appoggiata all’angolo tra due muri, uno in cortina laterizia, l’altro, piuttosto spesso, in opus reticulatum nella parte inferiore, con una sovrapposizione più sottile in opera listata (Jacopi 1980, pp. 15—16; Chioffi 1999. pp. 38—39).

L’iscrizione, incisa sul plinto della statua, è distribuita su tre linee di testo, con interpunzione regolare formata da hederae lancelolate; tracce di linee guida sottilmente incise. La dedica è posta a Giove Ottimo Massimo da Neratius Palmatus che si definisce proprietario e fondatore del luogo, loci dominus conditorque. Incerta l’identificazione del dedicante, verosimilmente il Neratius Palmatus che fu praefectus Urbi del 412 d. C. e che curò il restauro del teatro di Siracusa in qualità di governatore della Sicilia (PLRE, I 662 Palmatus 1 e 2; PLRE, II 824 Palmatus 1), o un suo omonimo ascendente, padre del praefectus Urbi del 352—353 e console del 357 Naeratius Cerealis (PLRE, I Cerealis, 1; a favore di questa identificazione Torelli 1982, p. 177).

La presenza di Naeratii nella zona tra Cispio e Viminale è attestata dagli inizi del II secolo d. C. da una fistula, menzionante II Neratiorum C. et Marcelli, e da un’iscrizione (cfr. Chioffi 1999, con bibl. prec., p. 40, nota 8). Al IV secolo risale invece la domus scavata nei pressi di via Farini e riferibile a Naeratius Cerealis grazie al ritrovamento in situ di una delle undici basi gemelle con il testo Neratius Cerealis vir clarissimus consul ordinarius conditor balnearum (CIL, VI 1744 a (= CIL, VI 31916 a—c = ILS 5718, cfr. p. 855, 3174, 3813, 4749, 4793) — 1745 — ILS 1245 cfr. p. 3813, 4750). Il ritrovamento delle altre dieci basi in zone diverse della città (a parte CIL, VI 1744 c = 31916 b, a breve distanza negli Orti Peretti, le altre provengono da varie aree: CIL, VI 1744 a = 31916 c; 1744 b = 31916 d; 1744 k = 31916 c; 31916 f—i; cfr. LTUR, II 1995, s. v. Domus: Naeratius Cerealis, p. 79 [F. Guidobaldi]) rende tuttavia incerto se i balnea citati fossero ubicati nella zona della domus, se pubblici, o all’interno della domus stessa se privati (Guidobaldi 1999. p. 58), ma testimonia l’avvenuto ampliamento delle proprietà dei Naeratii rispetto alla testimonianza del II secolo e uno spostamento verso la sommità del Viminale. L’ultimo membro noto della famiglia è il praefectus Urbi del 412 ed è al suo nome che si lega la significativa menzione nel Liber Pontificalis di una domus Palmati cum balneum et pistrinum (sulla domus e le diverse fasi, LTUR. II. 1995, s. v. Domus Palmati, p. 150 [F, Guidobaldi]). Si può dunque ritenere che, tra la metà e la fine del IV secolo, la domus dei Naeratii sia stata rifondata, da cui l’uso del termine conditor (su cui v. anche Jacopi 1980, p. 20) e dotata di un complesso termale privato; l’ultimo intervento avrebbe riguardato l’inclusione nella domus di un preesistente edificio di culto o la realizzazione di un sacello. In entrambi i casi il documento testimonia efficacemente la vitalità del paganesimo in quest’epoca e soprattutto l’attaccamento dell’aristocrazia senatoria alla religione tradizionale di Roma, espressione di un senso di identità e di appartenenza agli antichi valori dell’Urbe (Fraschetti 2000, pp. 261, 265; sul rapporto tra paganesimo e aristocrazia senatoria, cfr. inoltre Cameron 1999).

Un’ultima considerazione merita infine la contiguità tra il luogo di ritrovamento della statua e quello dell’arcaico culto di Iuppiter Viminus. Varrone e Festo citano entrambi la presenza sul colle Viminale di un’ara e di un bosco di salici (vimineta in Varrone, De lingua latina, V, 51 e viminum silva in Festo, p. 376), da interpretarsi come un lucus, parte di un fanum “dotato di un altare e forse di un’immagine di culto” secondo la ricostruzione di Coarelli (Coarelli 2014, p. 334); il culto può essere localizzato più precisamente nell’area tra via Cavour e via D’Azeglio, al confine tra la V e la VI regio, grazie al ritrovamento di un deposito votivo costituito da 60 figurine di oranti, databili al VI secolo a. C. (Coarelli 2014. p. 335). Sulla persistenza del culto oltre l’età arcaica non si hanno testimonianze se si eccettua un graffito di incerta datazione, rinvenuto in piazza dei Cinquecento in prossimità dell’aggere serviano; in esso è raffigurata un’ara cilindrica sormontata da tre alberi e con le tre lettere VIM incise al centro e interpretate come Vimino (CIL, VI 33962; cfr. LTUR, III, 1996, s. v. Iuppiter Viminus, ara, p. 162 [J. Aronen]; Jacopi 1980, p. 21; Coarelli 2014, p. 333—337). La possibilità dunque di mettere in connessione la statua di Neratius Palmatus con Iuppiter Viminus (proposta da Jacopi 1980 e dubitativamente espressa in LTUR III, 1996, s. v. Iuppiter Viminus, ara, p. 162 [J. Aronen]) non può che restare a livello di suggestiva ipotesi, nell’ambito di un recupero di età tarda di un’antichissima memoria.

Carlotta Caruso
Credits:
© 2017. Photo: Ilya Shurygin.
Data: museum annotation.
© 2014. Description: Terme di Diocleziano. Il chiostro piccolo della Certosa di Santa Maria degli Angeli. Roma, ed. Electa, 2014. P. 76—77, cat. 5 (Claudio Borgognoni, Carlotta Caruso).
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