Group from Cartoceto di Pergola
Gilded bronze.
50—30 BCE.
Ancona, National Archaeological Museum of Marche

Group from Cartoceto di Pergola.

Gilded bronze.
50—30 BCE.

Ancona, National Archaeological Museum of Marche
(Museo archeologico nazionale delle Marche).

Description:

Italiano I Bronzi dorati da Cartoceto: il punto sulle conoscenze

Pochi, crediamo, sono i monumenti antichi che, dal momento della loro scoperta in poi, abbiano avuto una serie di vicende e vicissitudini di vario genere come i Bronzi da Cartoceto, ed anche una tale notorietà — seppur non sempre positiva — presso il grande pubblico; potrà dunque il catalogo di questa mostra, che li vede organicamente inseriti in una rassegna (la prima del genere mai realizzata, almeno nelle Marche) di sculture romane di ambito medio-adriatico, essere l’occasione per rifare il punto sulle conoscenze relative a questo gruppo e sulle problematiche ad esso connesse, e tenerne vivo tra gli studiosi l’interesse scientifico, a tratti affievolitosi anche, forse, per i riflessi negativi di quella notorietà cui sopra accennavamo.

Il gruppo noto come “Bronzi dorati da Cartoceto di Pergola” costituisce uno dei pochissimi grandi complessi scultorei equestri dell’antichità giunti fino a noi, paragonabile, come imponenza, tra quelli conservati in Italia, solo ai cosiddetti Cavalli di San Marco di Venezia ed al Marco Aurelio di Roma, monumenti entrambi impreziositi, come il nostro, dalla doratura.

La grande scultura bronzea, com’è noto, era molto apprezzata ed amata nel mondo antico, ed in quello romano in particolare, soprattutto per quell’illusione di eternità che la robustezza del materiale sembrava garantire; “exegi monumentum aere perennius”: l’orgogliosa affermazione del poeta Orazio (Odi, III, 30, 1) a proposito del suo Carmen Saeculare, di aver realizzato “un monumento più duraturo del bronzo”, ci dà la misura di tale fiducia, che non era, in sé, mal riposta, se si pensa alla quasi totale integrità con cui grandi sculture sempre rimaste esposte all’aperto per quasi 2000 anni — come appunto i cavalli marciani ed il Marco Aurelio — sono arrivate fino a noi, senza presentare, oltre tutto, problemi di degrado maggiori di quelli di opere analoghe realizzate tra il Rinascimento e il XIX secolo.

Si deve quindi all’azione dell’uomo se un numero decisamente assai esiguo di grandi bronzi antichi si è conservato, delle migliaia che popolavano templi, case, strade e piazze di Roma, e delle altre migliaia, o decine di migliaia, sparsi nelle città e nei santuari di tutto l’Impero: il valore del metallo, sempre scarsamente disponibile nel mondo occidentale, almeno fino all’arrivo del rame del Nuovo Mondo, insieme con la relativa facilità di riutilizzo, fecero sì che non solo la furia iconoclasta, le guerre ed i saccheggi, ma anche, o forse più spesso, il quotidiano e ricorrente bisogno, “divorassero” quasi per intero la grande scultura bronzea classica.

Non a caso, quindi, il maggior numero di sculture superstiti è costituito da quei bronzi che la precoce obliterazione nella terra — come nel caso di quelli da Cartoceto — o sotto il mare, ha consegnato all’archeologia, permettendo loro di tornare oggi a noi come testimonianza storica del passato.

Il gruppo1 fu rinvenuto casualmente nel giugno 1946 in località S. Lucia di Calamello, presso Cartoceto, in Comune di Pergola, nel corso di lavori agricoli. Giunta la notizia alla Soprintendenza alle Antichità delle Marche, i Bronzi furono recuperati e trasferiti al Museo Nazionale di Ancona. In tale occasione furono effettuati anche saggi di scavo, finalizzati alla ricostruzione di un loro eventuale contesto archeologico, ma tali indagini, come quelle ripetute nel 1958, non dettero alcun risultato, tranne quello di accertare che i reperti erano stati deposti unitariamente, in epoca imprecisabile, in una fossa appositamente scavata nel terreno, a non grande profondità.

Il complesso è stato oggetto di vari restauri ed esposizioni. Il primo restauro fu condotto, piuttosto artigianalmente, tra il 1948 e il 1959, dal restauratore e fonditore artistico fiorentino Bruno Bearzi, e ad esso seguì l’esposizione, fino al 1972, nel Museo di Ancona, interrotta dagli eventi sismici di quell’anno, che resero inagibile tale p.39 sede espositiva. Il secondo e più importante intervento conservativo, condotto con metodologie d’avanguardia tra il 1975 e il 1986 presso il Centro di Restauro della Soprintendenza Archeologica per la Toscana, fu coronato nel 1987 da una grande mostra nel Museo Archeologico di Firenze e da un’adeguata edizione scientifica2.


1. I Bronzi dorati nel Museo dei Bronzi Dorati e della città di Pergola (Pergola)


2. I Bronzi dorati nel Museo Archeologico Nazionale delle Marche (Ancona)


3. La copia ricostruttiva dei Bronzi dorati sul terrazzo del Museo Archeologico Nazionale delle Marche (Ancona)

Successivamente, le note vicende che hanno visto il gruppo scultoreo “conteso” fra Pergola, ove ebbe luogo un’esposizione temporanea nel 1987 stesso, ed Ancona, sua originaria sede museale (ove frattanto era stata realizzata un’apposita teca climatizzata a cupola, ad opera di F. Minissi) (fig. 2), hanno impedito per molti anni la sua fruizione, con le sole brevi parentesi di mostre, pur prestigiose, in Italia e all’estero3.

Finalmente, l’accordo programmatico intercorso nel 1999 per iniziativa del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Soprintendenza Archeologica per le Marche ha fatto sì che il complesso dei Bronzi sia tornato ad essere fruibile, alternatamente, sia presso il nuovo Museo di Pergola (fig. 1) (dove pure intanto, su progetto ministeriale, era stato creato un sistema di controllo dell’umidità e del microclima, del tipo “a tenda d’aria”, tuttora funzionante), che presso il Museo Archeologico Nazionale di Ancona4.

Nell’ottica di “sdrammatizzare” il problema della col-locazione del gruppo, la Soprintendenza decise, nel 1999, di eseguire due serie di copie dei bronzi, una riproducente il gruppo nelle sue condizioni attuali di frammentarietà, lacunosità e deformazione, l’altra ricostruttiva (fig. 3), che mostra cioè il complesso nella sua originaria p.40 integrità e con l’aspetto che doveva avere quando fu realizzato.

La prima serie costituisce un fedele “doppio” delle opere originali, ed è destinata a sostituire queste in occasioni di possibili spostamenti tra varie sedi espositive oppure in occasione di mostre ove non si intendano inviare gli originali; la seconda serie, quella ricostruttiva, collocata stabilmente sulla terrazza superiore del Museo Archeologico Nazionale delle Marche, risponde al fine didattico di far meglio comprendere come doveva presentarsi in antico un monumento di questo genere, con l’esibito splendore della doratura, ma vuole pure, con la sua collocazione all’estemo del Museo, costituire un simbolo “forte” di esso visibile a tutti, che rafforzi cosi il legame tra il Museo stesso e la città di Ancona5.

Tornando al gruppo come tale, le indagini e le analisi a suo tempo effettuate mostrano che le sculture furono realizzate a cera persa con il metodo indiretto e che la lega con cui fu effettuata la fusione è di tipo ternario Rame-Stagno-Piombo, con forte percentuale (oltre il 13%) di quest’ultimo elemento, come assai frequentemente riscontrato in grandi bronzi statuari di età romana.

La fusione risulta di ottima qualità tecnica con pochi non essenziali difetti; le analisi sui residui della terra di fusione indicano la presenza nel dimagrante di minerali di origine vulcanica, che hanno fatto ipotizzare come area di provenienza possibile per tale materiale la regione campano-laziale.

Ciò non implica automaticamente, però, la localizzazione in quell’area dell’officina di fabbricazione, in quanto sappiamo che tali materie prime erano comunemente trasportate, nel mondo antico, a largo raggio, anche per ambiti di lavorazione meno “nobili” come la ceramica, e ciò fin da età pre-protostoriche6; recenti ricerche, d’altronde, hanno evidenziato l’esistenza di ateliers per la produzione di grandi bronzi statuari anche in territorio marchigiano, a Sentinum7.

Le sculture furono dorate col metodo “a foglia”, applicata direttamente sulla superficie metallica.

Quanto resta del gruppo scultoreo permette di p.41 riconoscere la presenza di quattro figure, due maschili a cavallo e due femminili stanti, composte molto probabilmente in uno schema simmetrico ad andamento piramidale, con i cavalieri al centro.


4. La testa del cavaliere


5. La testa della figura femminile più completa


6. La testa di uno dei cavalli

La figura maschile più completa (che conserva quasi tutta la porzione superiore del corpo) rappresenta un cavaliere in veste militare d’alto rango (tunica e paludamentum), con braccio destro alzato nel tipico gesto dell’adlocutio o dell’adventus; di età non avanzata ma matura, come mostrano l’incipiente stempiatura ed i tratti vissuti del volto (fig. 4), l’uomo monta un cavallo di grossa corporatura (tipo del “cavallo pesante” romano) riccamente bardato con falere e pettorale decorati in rilievo con figure mitologiche spesso di ambito marino.

Dell’altra scultura equestre restano poco più che le gambe dell’uomo con gli stessi calzari patrizi, ed un braccio frammentario nella stessa posa dell’altro cavaliere, nonché la testa (fig. 6), le zampe ed altre porzioni del corpo del cavallo: tanto basta comunque per affermare la stretta corrispondenza con l’altra figura, dalla quale doveva differire solo per il volto dell’uomo e per la posizione dell’animale, speculare rispetto all’altro.

Una delle figure femminili è pressoché completa: rappresenta una dama di non giovane età, con lineamenti marcati ed austeri, ammantata e velata (stola e palla) (fig. 5); l’abbigliamento, la posa e la significativa presenza di p.42 un particolare tipo di anello ne denunciano la nobiltà ed il rango. La seconda figura femminile, conservata nella sola porzione inferiore, doveva essere vestita ed atteggiata in modo simile.

La frammentazione e la lacunosità delle sculture ed alcune anche pesanti deformazioni delle parti superstiti evidenziano come il gruppo sia stato intenzionalmente distrutto con attrezzi contundenti prima di essere sepolto8.

Il complesso scultoreo pone tuttora notevoli problemi per quanto riguarda non tanto la sua cronologia, quanto piuttosto l’identificazione dei personaggi che lo compongono, e la sua originaria collocazione.

In occasione della mostra di Firenze del 1987, infatti, nonché già anteriormente, e successivamente, Sandro Stucchi identificava la figura femminile di cui si conserva il volto con Livia, già moglie di Livio Druso e poi di Augusto, e madre di Tiberio, e nel cavaliere Nerone Cesare, lo sfortunato figlio di Germanico caduto in disgrazia, ad opera del tirannico reggente Seiano, insieme al fratello Druso ed alla madre Agrippina, nel 28 d. C.; le figure mancanti dovevano identificarsi appunto con i due ultimi personaggi citati.

Sempre secondo questo autore, il gruppo, originariamente collocato in un centro romano più o meno vicino alla località di rinvenimento, sarebbe stato, a seguito di tale sfortuna politica, distrutto e sepolto per una abolitio o damnatio memoriae.

In realtà, a parte l’improbabilità di un rituale condotto con siffatto metodo in epoca romana9, l’identificazione stessa con Livia della figura femminile appariva assai poco credibile, e su di essa poggiava tutta la ricostruzione di Stucchi, mancando ogni immagine di Nerone Cesare, il cui riconoscimento nel cavaliere, peraltro, risulta improponibile per la giovane età che il personaggio avrebbe dovuto avere.

Sulla base di queste considerazioni, ma anche e soprattutto per i caratteri stilistici e tipologici delle due figure, bisogna quindi convenire con quegli autori, John Pollini prima e Filippo Coarelli poi, che hanno successivamente reimpostato il problema datando correttamente il gruppo nel I secolo a. C., tra gli anni 50 e 30, ossia tra l’età cesariana e gli inizi di quella augustea (va dato atto a Giovanni Annibaldi di avere, molto precedentemente, già proposto una cronologia più antica).

Ben si collocano in questo periodo il ritratto maschile, non lontano dall’iconografia dello stesso Giulio Cesare10, e lo schema figurativo della dama (derivante dalle statue funerarie di tradizione tardo-ellenistica e dal tipo detto della Pudicitia), nonché la sua pettinatura.

Muovendosi in questo nuovo quadro, dobbiamo ritenere che debba trattarsi del monumento onorario di una famiglia d’alto rango, quasi certamente senatorio, sufficientemente cospicua da permettersi la realizzazione di un gruppo simile, e nella quale le donne avessero, od avessero avuto, un ruolo non secondario. Un ritratto maschile in marmo dei Musei Vaticani, esposto in questa stessa mostra (purtroppo privo di provenienza), a grandezza naturale e facente parte non già di un busto, ma bensì di un altorilievo, nel quale è certamente da riconoscere lo stesso personaggio maschile dei nostri Bronzi, testimonia d’altronde l’importanza e la notorietà di esso.

Non moltissime, ma pur sempre numerose, sono le famiglie che, in questo periodo storico (peraltro uno dei meglio conosciuti del mondo romano), potrebbero rispondere ai requisiti accennati, e sarebbe quindi determinante in tal senso l’originaria collocazione del gruppo. Se, infatti, presupponiamo che i Bronzi dovessero trovarsi in una città romana prossima all’area di rinvenimento, l’attenzione andrà concentrata su personaggi magnatizi locali, o che comunque avessero forti legami con questo territorio; se invece ammettiamo una provenienza diversa, e quindi anche molto più lontana, il discorso si allarga quasi a dismisura.

Nella prima direzione si muove Filippo Coarelli, proponendo di identificare in uno dei due personaggi maschili Marco Satrio, noto, oltre che dalle fonti letterarie, da iscrizioni di Suasa e di Sentinum, definito “patronus agri Piceni”, luogotenente di Giulio Cesare in Gallia ma poi tra i congiurati che lo uccisero; esso pervenne all’ordine senatorio tramite l’adozione da parte dello zio materno Lucio Minucio Basilo, originario di Cupra Maritima, adozione patrocinata dalla madre, sorella di quest’ultimo.

Coarelli ipotizza anche che il gruppo si trovasse a Sentinum, ove, presa la città da Ottaviano nel 41 a. C., sarebbe quindi stato distrutto per ovvii motivi politici11.

John Pollini, invece, non facendosi condizionare dalla necessità di legami diretti col territorio, propone di attribuire il gruppo ai Domizi Enobarbi, antichissima, celebre e doviziosa famiglia romana, proprietaria di sterminati possedimenti terrieri, confluita poi in quella imperiale giulio-claudia; i personaggi proposti sarebbero Cneo Domizio Enobarbo, console nel 32 a. C., con sua madre Porcia, la moglie ed il padre Lucio Domizio.

In realtà, come si vede, la questione rimane aperta, come il quesito sulla fine del gruppo, che per ora appare lectio facilior attribuire ad un saccheggio avvenuto in un’epoca imprecisabile (forse, ma non necessariamente, nella tarda antichità), e ad un accantonamento dei rottami in un “ripostiglio” posto in una località priva in se stessa di presenze romane, ma non distante da importanti vie di comunicazione.

Essendo comunque ormai correttamente impostato il problema, e tralasciando ipotesi fantasiose che periodicamente vengono formulate12, è possibile che ulteriori ricerche e studi storico-iconografici da un lato, ed auspicabili e fortunate scoperte archeologiche dall’altro, p.43 permettano in un futuro non lontano di dare davvero un nome ai nostri Bronzi.

Giuliano de Marinis

NOTE

1Si riporta qui di seguito la bibliografia principale, cui è implicito il riferimento per i vari argomenti trattati, evitando, salvo casi particolari, specifici rimandi:
Stucchi S. Gruppo bronzeo di Cartoceto. Gli elementi al Museo di Ancona // Bolletino d’Arte. Vol. 45, № 1—2. 1960. P. 7—44;
Annibaldi G. Pergola // Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale. Vol. 6. Roma, 1965. P. 53—55;
Bronzi dorati da Cartoceto di Pergola / A cura di P. R. Del Francia. Firenze, 1987;
Stucchi S. Il gruppo bronzeo tiberiano da Cartoceto. (Studia archeologica, 32) Roma, 1988;
La civiltà picena nelle Marche. Studi in onore di Giovanni Annibaldi (Atti del Convegno Ancona, 10—13 luglio 1988). Ripatransone, 1992;
Pollini J. The Cartoceto Bronzes: Portraits of a Roman Aristocratic Family of the Late First Century B. C. // AJA. Vol. 97. 1993. P. 423—446;
Bergemann J. Römische Reiterstatuen. Ehrendenkmäler im öffentlicher Bereich. Mainz am Rhein, 1990;
I bronzi dorati di Pergola. Un enigma? / A cura di M. Luni, F. G. Motta. Urbino, 1998;
Coarelli F. I bronzi di Cartoceto. Un’ipotesi // Ibid. P. 81—95;
de Marinis G. Gli interventi conservativi: i contributi delle analisi // Ibid. P. 69—80;
de Marinis G., Quiri P. I Bronzi dorati da Cartoccio di Pergola nel Museo Archeologico Nazionale delle Marche. Recanati, 1999; Luni M. Statue di bronzo a Forum Sempronii e in città del versante medioadriatico. Urbino, 2001.

2Bronzi dorati da Cartoceto di Pergola / A cura di P. R. Del Francia. Firenze, 1987: tale edizione risulta, per quanto concerne il restauro e lo studio tecnologico, tuttora validissima, mentre parzialmente da aggiornare sono altri aspetti.

3Vedi in particolare El magico oro. Italia tesoro de la antigüedad (Catalogo della mostra). Firenze, 1996. P. 217 f.; L’or magique. Trésor des Etrusques et des Romains (Catalogo della mostra). Firenze, 1996. P. 219 f.; Die Magie der Goldes. Antike Schatze ans Italien (Catalogo della mostra). Treviso, 1996. P. 117—123.

4Mentre si scrivono queste pagine, il problema della collocazione sembra tornato di attualità ad opera dell’Assessore Regionale alla Cultura, Cristina Cecchini, e dell’On. Sottosegretario del nostro Ministero Vittorio Sgarbi; la vicenda è quindi tuttora aperta, ma appare poco interessante nell’ottica di questo contributo soffermarvisi.

5E tuttora un atteggiamento diffuso, da parte della pubblica opinione, ma anche di molti studiosi, quello di critica, di disprezzo, o di preconcetto rifiuto, nei riguardi della realizzazione di copie di monumenti più o meno antichi; ciò, evidentemente, dimenticando che le copie furono, dall’antichità al Rinascimento, un eccezionale veicolo di diffusione culturale, e che la nostra conoscenza della scultura classica è quasi interamente mediata attraverso esse; oppure ignorando, volutamente o no, che esse sono ormai l’unica risposta al problema della conservazione di molte opere d’arte all’aperto. In realtà la pratica dell’effettuazione di calchi e copie, oltretutto resa oggi più agevole e meno rischiosa per gli originali dalle tecniche e dai prodotti attualmente disponibili, offre una serie di possibilità e soluzioni, anche nei riguardi di una migliore lettura e di una più ampia fruizione dei manufatti antichi. Per la realizzazione delle due serie di copie dei Bronzi cfr. de Marinis G., Quiri P. Op. cit. P. 12—14.

6Cfr. in proposito La ceramica preistorica in Toscana. Artigianato e materie prime dal Neolitico all’età del Bronzo / A cura di F. Martini, P. Pallecchi, L. Sarti. Città di Castello, 1996. P. 99 ff., in particolare p. 303—312; Pallecchi P. Analisi dei materiali // Querciola. Insediamento campaniforme a Sesto Fiorentino. Firenze, 1997. P. 325 ff.

7Cfr. de Marinis G. Gli interventi… P. 77 f., tav. 5 (p. 71); per la diffusione delle statue in bronzo, anche dorate, nelle attuali Marche, vedi pure Luni M. Op. cit. P. 27 ff.

8Bergemann J. Cartoceto, Gruppo di // Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale. II suppl. Roma, 1994, p. 7—81 pensa che il gruppo scultoreo non sia mai stato messo in opera, adducendo come riprova a ciò la mancanza di perni alle estremità inferiori delle sculture; tale ipotesi, che oltre tutto l’Autore afferma, evidentemente equivocando, desunta dalle indagini condotte durante il restauro, è priva di senso, in quanto tutte le grandi sculture antiche in bronzo venivano assicurate alle basi con il solo ausilio di colature di piombo. Pure totalmente inconsistenti sono i tentativi, adombrati da altri studiosi, di giustificare le varie ipotesi di maggiore o minore durata dell’esposizione delle statue all’aperto con lo stato di conservazione della doratura.

9Manca totalmente, nella letteratura, notizia di una simile pratica, che risulterebbe, oltre tutto, in contrasto con la mentalità pratica ed utilitaristica del mondo romano; vedi piuttosto la sorte delle immagini bronzee di Seiano in Giovenale, X, vv. 58—64.

10In effetti, se non fossero d’ostacolo alcuni caratteri fisionomici del volto del cavaliere superstite, che appaiono ben caratterizzati e riconoscibili malgrado le traversie subite, estremamente suggestiva e verosimilmente compatibile con l’evidente importanza del gruppo, sarebbe una proposta di identificazione di esso proprio con Giulio Cesare, della figura femminile con la venerata madre Aurelia, della scultura mutila maschile con Cneo Pompeo, dell’altra con Giulia, moglie di questo intorno al 59 a. C., unica figlia di Cesare data ad esso in sposa per così dire in pegno di alleanza familiare nella precaria intesa da noi moderni definita “primo triumvirato”; sarà superfluo sottolinearle come ben si attaglierebbe a tale affascinante ipotesi il contesto piceno, con il quale sono ben noti gli addentellati di Pompeo. Questo per dimostrare come sia facile, se si vuole, formulare ipotesi accattivanti, seppure non dimostrabili scientificamente, su temi come il nostro ove si esca dal rigore del metodo filologico: cfr. in proposito infra, nota 12.

11L’Autore ripropone pure l’ipotesi della abolitio memoriae.

12Ci riferiamo per esempio a Böhn V. H. Herkunft geklärt? Die Bronzen von Cartoceto und die Exedra der Ciceronen auf Samos // Antike Welt. Bd. 31. 2000. S. 9—22, che identifica il cavaliere con Cicerone e fa provenire il gruppo da Samo: l’ipotesi è inaccettabile dal punto di vista iconografico e a dir poco romanzesca per gli altri aspetti di verosimiglianza storica. Tralasciamo ulteriori proposte, parimenti o più ancora prive di fondamento, recentemente espresse da altri studiosi, ma non ancora, per quel che sappiamo, edite.
Credits:
© 2002. Photo, text: De Marinis G., Tufi S. R., Baldelli G. Bronzi e marmi della Flaminia. Sculture romane e confronto. (Pergola, 15 giugno — 3 novembre 2002). Artioli Editore, Modena, 2002, p. 38, ill. 1.
© 2002. Description: De Marinis G. I Bronzi dorati da Cartoceto: il punto sulle conoscenze, in: De Marinis G., Tufi S. R., Baldelli G. Bronzi e marmi della Flaminia. Sculture romane e confronto. (Pergola, 15 giugno — 3 novembre 2002). Artioli Editore, Modena, 2002, pp. 37—43.
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